Come Ungaretti può salvarti la vita

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Giuseppe Ungaretti (1888 – 1970)
nasce ad Alessandria d’Egitto da famiglia di emigrati lucchesi, dove trascorre la sua giovinezza. Si trasferisce poi a Parigi, dove ogni martedì frequenta un caffè che riunisce poeti provenienti da tutti i paesi del mondo. Così conosce Apollinaire, Picasso, Soffici, Palazzeschi, Papini e molti altri artisti d’avanguardia, che lo invitano a collaborare con la rivista Lacerba, dove nel 1915 appaiono le sue prime poesie. Nel 1914, scoppiata la Prima Guerra Mondiale, torna in Italia e si arruola volontario combattendo sul Carso contro gli austriaci. Questa esperienza lo segna così profondamente da ispirargli le poesie del Porto Sepolto (1916) e poi de L’Allegria (1919).

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In più scritti è infatti evidente l’enorme peso emotivo che l’esperienza militare ha suscitato nell’autore; nel componimento San Martino del Carso Ungaretti descrive un paesaggio devastato dalla guerra, in cui si è cancellata ogni traccia di una possibile vita felice precedentemente vissuta, per poi aggiungere: «è il mio cuore il paese più straziato».

In uno scenario così tragico è infatti lecito perdere qualsiasi speranza, qualsiasi pensiero positivo, poiché quando tutto attorno viene distrutto, la ricostruzione non può essere immediata. Ci vuole prima di tutto una restaurazione interna, che deve partire dalla luce più forte di tutte: la vita stessa. 

Questo anelito di luminosità nella disperazione è ciò che l’autore ci insegna. Nel celebre componimento Veglia ci troviamo sulla Cima Quattro del fronte carsico, il 23 dicembre 1915. L’autore ci racconta della brutale uccisione di un suo compagno, avvenuta davanti ai suoi occhi, in un istante che l’ha portato via per sempre. Il caduto giace di fianco a lui che, inerme, pensa alla volubilità dell’essere, e che eppure riesce a scrivere: «Non sono mai stato tanto attaccato alla vita». Questo pensiero, in un momento di tale tragicità, è di una forza assolutamente sorprendente. 

Il sentimento sboccia nel poeta come un fiore tra le crepe dell’asfalto, dove non ci si aspetta possa nascere qualcosa di così puro, capace di evocare dolcezza anche nell’atrocità della morte. 

Nell’attuale situazione che tutti noi stiamo vivendo, questo pensiero può esserci d’esempio più che mai. Dove tutto attorno sembrano trionfare la morte e l’incertezza, che dentro ognuno trionfi la vita. 

VegliaL’allegria

Un’intera nottata

buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Carola Aghemo e Giulia Ferrero

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