Il razzismo spiegato a mia figlia

Il 22 febbraio 1997, Tahar Ben Jelloun, dopo aver partecipato a una manifestazione contro il progetto di legge Debré sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri in Francia insieme a sua figlia, curiosa di conoscere lo scopo di quella manifestazione e il significato di certi slogan, ha l’idea di spiegare in modo semplice e chiaro la piaga sociale del razzismo scrivendo un libro sotto forma di dialogo tra le domande della figlia e le risposte del padre.

«La parola straniero ha la stessa radice di estraneo e di strano, che indica ciò che è ‘di fuori’ , ‘esterno’ ‘diverso’. Designa colui che non è della famiglia, che non appartiene né al clan né alla tribù. È qualcuno che viene da un altro paese, sia esso vicino o lontano, qualche volta da un’altra città o un altro villaggio. Da ciò è nato il concetto di xenofobia, che significa ‘ostilità verso gli stranieri’, e ciò che ‘viene dall’estero’. Oggi però la parola strano designa qualcosa di straordinario, di molto diverso da quanto si ha l’abitudine di vedere. È sinonimo di strambo».

Il concetto di xenofobia non è radicato nell’uomo fin dalla nascita: il problema è l’educazione impartita all’essere umano fin dalla sua prima infanzia. La scuola o lo sport forniscono modelli educativi ai ragazzi, ma l’educazione più importante viene data all’interno dell’ambiente familiare e gioca un ruolo primario: la famiglia resta solitamente un solido punto di riferimento per una persona e le ideologie, i valori condivisi al suo interno saranno per questa persona una zona di comfort, da cui è solitamente difficile discostarsi, per provare a guardare le cose sotto un altro punto di vista.

«Durante una trasmissione televisiva, il 13 novembre 2008, il giornalista Érik Zemmour ha affermato che le razze esistono e che tra una razza e l’altra ci sono differenze. Di fronte a Rokhaya Diallo, una giovane donna membro dell’associazione Les Indivisibles, ha dichiarato: ‘Lei è nera, io sono bianco, siamo dunque di due razze diverse’. Era senza dubbio in buona fede, ma mi piacerebbe dirgli che si sbaglia e che esiste una sola razza, la razza umana, che è composta di così tante diversità e di tante differenze, che tutti gli uomini tra loro si assomigliano, ma nessuno è identico all’altro. Il sangue che scorre nelle vene degli uomini con la pelle bianca, rosa, marrone, nera, gialla ha e avrà sempre lo stesso colore: rosso. La donna gli ha risposto: ‘Sì, la razza esiste, esiste nella testa delle persone come lei, ed è il flagello che ha condotto in passato a tante tragedie umane e che ancora oggi causa tante ingiustizie ordinarie’».

Tahar cerca di rispondere alle domande della figlia in maniera più semplice e lineare possibile, facendo presente come il razzismo sia imposto ad un bambino e di come, una volta diventati adulti, sia difficile liberarsi dalla gabbia di queste false credenze.

«Si tratta di riconoscere alla persona di fronte a noi gli stessi diritti e gli stessi doveri che sono riconosciuti a me. Riconoscere significa accettare il dato di fatto della disuguaglianza: non si tratta di inferiorità o superiorità fondate su apparenze fisiche. Si tratta soprattutto del diritto alla dignità e del diritto a essere guardati senza disprezzo né sospetto […] Il rispetto è essenziale. D’altra parte la gente non pretende l’amore, ma di essere rispettata nella sua dignità umana. Rispettare vuol dire avere riguardo e considerazione. Vuol dire sapere ascoltare. Lo straniero non reclama amore o amicizia, ma rispetto. L’amore e l’amicizia possono venire dopo, quando ci si conosce meglio e ci si apprezza. Ma in partenza non bisogna avere alcun giudizio preconcetto. In altre parole nessun pregiudizio. Invece il razzismo si sviluppa grazie alle idee preconcette sui popoli e sulle loro culture».

Tahar spiega alla figlia ogni forma di razzismo, dalla paura dello straniero per il diverso colore di pelle, alla diversità di genere, al fanatismo religioso fino all’estremismo dei partiti politici

«L’umorista Dieudonné persiste nel portare avanti una campagna nutrita di idee del Front National. È stato condannato due volte per aver paragonato gli ebrei a dei ‘negrieri’ e per aver parlato di ‘pornografia memoriale’ a proposito della commemorazione della Shoah. Nel dicembre 2008 ha fatto salire sul palco, applauditi da Jean-Marie Le Pen, il professor universitario Robert Faurisson, che nega l’esistenza delle camere a gas nei campi di concentramento in cui 5 milioni di ebrei e rom furono assassinati e gli ha fatto consegnare un ‘premio’ dal suo direttore di scena vestito da deportato, con un pigiama e la stella gialla»

Ma cosa si può fare per limitare e superare l’odio? Studiare, capire i punti di vista di ogni cultura, imparare una nuova lingua, essere curiosi e viaggiare

«Viaggiate
Che viaggiare insegna a resistere

A non dipendere
Ad accettare gli altri non solo per quello che sono
Ma anche per quello che non potranno mai essere
A conoscere di cosa siamo capaci
A sentirsi parte di una famiglia
Oltre frontiere, oltre confini,
oltre tradizioni e cultura,
viaggiare insegna a essere oltre»

Gio Evan

Marta Federico

© Credit immagini: link 

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