Nella classica teoria economica della crescita, i Paesi che definiamo ‘sviluppati’ hanno vissuto nella loro storia un decollo dovuto alla trasformazione della loro vocazione produttiva. Per esempio, il mondo occidentale nel corso dell’Ottocento ha trasformato una società prevalentemente agricola in una industriale e, più recentemente, questi Paesi stanno subendo un ulteriore cambiamento orientato verso il settore dei servizi, delocalizzando le industrie là dove i costi di produzione sono minori. Nel processo di modernizzazione la vocazione industriale sembra quindi un passaggio forzato e senza il quale le economie non possono crescere.
Le prove a supporto di questa tesi sono molteplici, poiché l’industrializzazione porta con sè una serie di aspetti positivi per le economie locali: lo sviluppo delle istituzioni e la crescita dell’urbanizzazione sono alla base delle nostre società, ma anche il processo di learning by doing, letteralmente ‘imparare facendo’, ha permesso all’Occidente di fare scoperte tecniche e scientifiche essenziali nello sviluppo dell’umanità. Ma ciò che l’industrializzazione ha portato è anche una fortissima pressione ecologica, in cui le emissioni di CO2 e il consumo di suolo giocano un ruolo fondamentale.

Viene quindi da chiedersi cosa potrebbe succedere se continenti come l’Asia, l’Africa e il Sud America dovessero iniziare a industrializzarsi, cercando di raggiungere gli stili di vita occidentali. Un gigante dell’industria, la Cina, ha da poco iniziato questo processo, portando con sé una serie di problematiche ambientali che non potremo ignorare, nell’ottica di una crisi climatica. Alcuni Paesi (tra cui l’India o il Ghana) stanno però adottando un modello di crescita differente, investendo fin da subito nei servizi, per esempio nelle professioni legate al commercio, alle università o alla sanità. Questa mentalità fa ben sperare, considerando un dato fra tutti: un’attività legata ai servizi consuma un quarto di CO2 rispetto a un’attività industriale; inoltre vanno considerate anche le qualità sociali derivanti dallo sviluppo dei servizi, in primis la qualità della vita e del lavoro.
Ciò che da Europei possiamo fare è promuovere e finanziare questi modelli, per limitare ulteriori stravolgimenti climatici e al contempo favorire la crescita dei Paesi in via di sviluppo. E nel rispettare gli accordi sull’ambiente presi nella Conferenza di Parigi del 2015, questo sembra essere un ottimo modo per investire in questi Paesi.
Francesco Fiori