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Conobbi gli scatti di Letizia Battaglia poco più di un anno fa alla mostra Storie di strada. La vividezza del bianco e nero delle sue fotografie è in grado di stregare, qualunque sia il soggetto catturato. Dalle lotte sociali degli Anni Settanta, ai morti ammazzati degli anni di piombo, alle bambine dagli occhi seri, tutti i suoi scatti trasmettono l’emozione cristallizzata dell’istante vissuto da lei in prima persona. Tuttavia parlare di Letizia come fotografa sarebbe riduttivo: prima di tutto è una donna che ha lottato sin dalla giovinezza per la propria libertà e indipendenza.
A dieci anni incontra ‘un orco’ e i genitori la confinano in casa. A sedici si sposa, convinta che il matrimonio possa restituirle la tanto agognata libertà. Vicina ai quarant’anni, si rende però conto che il matrimonio non è che un’altra prigione.
Nel 1970, dopo una breve collaborazione con L’Ora, giornale palermitano, si trasferisce con le figlie a Milano. Nessuna testata locale la accetta: senza foto, il suo lavoro non è richiesto. Allora l’amica Marilù le regala una piccola macchina fotografica con la quale inizia a catturare le lotte sociali dell’epoca.
Fotografare diventa per Letizia la tanto ricercata chiave per l’indipendenza.
Nel 1974 torna a Palermo e per diciannove anni denuncerà attraverso i suoi scatti gli atroci delitti, l’enorme sofferenza provocata dalla mafia negli anni di piombo.
La fotografia non è più solo un lavoro per Letizia: è un mezzo che le permette al contempo di testimoniare i fatti che accadono nella sua città e di esprimere se stessa. Con l’omicidio di Falcone e Borsellino raggiunge però il limite, non riesce più a fotografare i ‘morti ammazzati’.
Si dedica quindi alla fotografia da artista. Sono le donne e le bambine i suoi nuovi soggetti. Bambine mai sorridenti, ma innocenti e sognatrici, in cui in fondo si rivede.
La storia di Letizia Battaglia è un esempio lampante di lotta per la libertà e di vivida testimonianza del dolore, ma anche e soprattutto di continua rinascita e capacità di trovare la bellezza nella complessità.
Cecilia Verri
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