Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia, nasce a Roma nel 1907 da una benestante famiglia borghese. Secondo di quattro figli, trascorre un’infanzia dapprima serena, che si complica quando, a soli nove anni, viene colpito da un’acuta forma di tubercolosi ossea che lo costringe a letto per parecchi anni.
La sua condizione fisica è chiaramente un ostacolo agli studi, che si concludono conseguendo a stento la licenza ginnasiale, senza impedire al giovane Moravia di immergersi nella lettura dei grandi autori, da cui attinge per vivere con la fantasia un po’ di quella vita giovanile che gli è stata portata via dalla malattia.
È infatti nel ’25, a soli diciannove anni, che inizia a scrivere il suo capolavoro, Gli Indifferenti. Poco dopo inizia a collaborare con alcune riviste e pubblica i suoi primi racconti su Il Novecento.
Non vi è alcun dubbio sul fatto che, sin dai primi anni di carriera, Moravia sia stato uno degli autori più poliedrici del XX secolo; oltre che scrittore, infatti, la scena dell’epoca lo vede anche giornalista, sceneggiatore, drammaturgo, poeta e critico cinematografico. Non meno importante è anche il suo impegno politico come esponente del Partito Comunista Italiano e la sua chiara ribellione al regime fascista, diametralmente opposto alla sua linea di pensiero sociale e a cui lui non riesce a rimanere indifferente.
Nominato 15 volte al Premio Nobel per la letteratura e vincitore di un Premio Strega, il grande autore ha tanto da far dire su di sé, tra cui anche l’appassionante storia d’amore con Elsa Morante.
Gli Indifferenti è il suo romanzo di esordio, pubblicato nel 1929. Nell’opera, l’autore denuncia l’incapacità di vivere autenticamente la realtà, in cui ritrova l’indifferenza come carattere principale, tipico della borghesia degli Anni Venti e Trenta, sempre più schiava del lusso e dei soldi.
Gli anni di affermazione del fascismo in Italia fanno da sfondo al ritratto irruento della famiglia Ardengo, appartenente all’alta borghesia romana. Composta dalla sola madre con i due figli Michele e Carla, la famiglia Ardengo abita in una bella villa, su cui però grava un’ipoteca.
Il loro modo di vivere fa soffrire profondamente i due ragazzi, a cui sembra di essere in una continua recita: tentano di smascherare la realtà che li circonda per poter vivere una vita vera ed esule dall’indifferenza. Carla tenta di ribellarsi seguendo un ragionamento inverso: la sua ribellione starebbe infatti nell’adattarsi al mondo borghese, iniziando una relazione con l’amante della madre, Leo, con il fine ultimo di rompere i vincoli con la realtà fittizia in cui si trova. Tutto ciò sfocia in un’autodistruzione che la porta, contrariamente alle sue aspettative, all’assimilazione della realtà da lei disprezzata, facendola diventare come la madre. Il fratello Michele, invece, si trova ad affrontare il ‘problema dell’agire’: è possibile un’azione morale in un mondo in cui ogni valore è una finzione? Verso la fine del romanzo Michele cerca di trasformarsi in eroe: compra una rivoltella per ammazzare Leo, da lui odiato e al contempo in qualche modo invidiato. La sua incapacità di agire viene rivelata nel momento in cui cerca di ucciderlo, dimenticando di caricare la pistola. Michele sogna un mondo in cui la tragedia è possibile, dove il delitto d’onore è veramente tragico, in cui tutti i sentimenti sono veri e autentici e per essi si può vivere o morire.
La scelta finale di Michele è di essere ‘indifferente’, perchè altrimenti sarebbe come Leo: una persona cinica e arrogante che ha ipotecato la loro casa, una persona che agisce.
Il non agire, per l’appunto, significa indifferenza. Quando Michele decide di uccidere Leo non ci crede davvero fino in fondo, il suo subconscio sa che è inutile e che questa azione non cambierà nulla. Mentre il ragazzo si dirige verso casa di Leo immagina l’ipotetico processo a seguito dell’omicidio, sognando una reale conseguenza alla sua azione, poiché questo significherebbe l’esistenza di qualche valore, di una giustizia. La verità di cui è però cosciente è che anche il processo stesso si sarebbe rivelato una mascherata, non lasciando alcuna via di fuga da un mondo ormai troppo corrotto.
Perché questa scelta di indifferenza non è veramente eroica?
L’azione, per quanto compromettente, è una scelta di libertà. La figura di Michele si rivela antieroica proprio per questo motivo, e l’indifferenza non può salvare la vita perché ostacola il fulcro della vita stessa: l’evoluzione. In questi giorni, sullo sfondo della vera e propria rivolta che sta prendendo piede in America, questo tema è più che mai attuale. L’indifferenza davanti all’ingiustizia non potrà mai portare a un cambiamento, rivelandosi a tutti gli effetti nociva per la società.
In questo mondo digitale in cui una notizia rimane protetta da uno schermo e si perde insieme a tante altre, re-impariamo a farci toccare, a indignarci, a sconvolgerci.
Una vita indifferente non è una vita che si vive, ma che si lascia vivere passivamente.
Carola Aghemo e Giulia Ferrero