«Pianga, Malaussène, pianga in modo convincente. Sia un buon capro.»
Nel 1985 con Il Paradiso degli orchi lo scrittore francese Daniel Pennac dà vita a una delle più grandi saghe di letteratura popolare degli ultimi quarant’anni: il ciclo di Malaussène.
Una serie di romanzi, ambientati nel quartiere parigino di Belleville, incentrati interamente sulla vita surreale di Benjamin Malaussène e dei suoi cari.

Benjamin è un uomo dotato di un vizio raro: compatisce. E per questo motivo, il lavoro perfetto per lui è il capro espiatorio, professione che svolge brillantemente prima in un grande magazzino e in seguito nelle Edizioni del Taglione, una casa editrice caratterizzata dalla pubblicazione di romanzi di ‘alta qualità letteraria’.
Il compito di un capro è semplice: subire l’uragano di improperi e lamentele della clientela, mostrando sempre un’aria così contrita, miserabile, profondamente disperata, che all’occorrenza può servirsi di artifici quali il pianto o l’invito alle percosse, tanto da arrivare al punto in cui, per non avere un suicidio sulla coscienza, l’avventore decide di ritirare il reclamo.

È evidente che una vita di questo tipo porterebbe chiunque all’esasperazione o all’esaurimento nervoso nel giro di pochi mesi, ma Benjamin possiede un’arma segreta. Perché quando la sera ritorna a casa, ad aspettarlo, aiutarlo a uscire dalle situazioni più strane e dargli sempre un motivo per sorridere, c’è la sua tribù.
Una famiglia che nasce dallo spirito libero della mamma, passa per le sorelle Louna, Clara, Thérèse e Verdun, i fratelli Jérémy e Il Piccolo, i nipoti È Un Angelo e Maracuja, fino a suo figlio, Signor Malaussène, avuto con il grande amore della sua vita: Julie. A cui si aggiungono gli amici Thèo, Stojil, Hadouch e Yasmina, i poliziotti del quartiere Caregga, Rabdomante e Van Thian, i medici Laurent, Marty e Berthold, per finire con il magnifico cane epilettico Julius.

E allora, a rendere straordinaria questa serie di romanzi non è semplicemente il riconoscersi nella figura di un capro espiatorio (perché diciamolo, almeno una volta nella vita ci siamo tutti sentiti così), ma è soprattutto il sentirci a casa, che tutti noi possiamo provare leggendo le strampalate vicende della famiglia Malaussène.
Perché in fondo noi siamo quelli che ti svegliano di notte dopo che la fidanzata li ha lasciati, o perché non hanno idea di cosa fare della propria vita. Siamo quelli che si lanciano addosso piatti, bicchieri o i peggiori insulti solo perché hanno avuto una giornata storta.
Che sanno perfettamente cosa poter dire per colpire proprio là, dove fa più male, e forse proprio per questo non lo dicono mai.
Siamo quelli che quando si incontrano si abbracciano come se fossero appena tornati dalla guerra. Che anche se sono tristi, stanchi o depressi farebbero di tutto per tirarti su il morale. Siamo quelli che non importa se hai scoperto la cura contro il cancro o portato la pace nel mondo, comunque ti prenderemo per il culo, perché è l’unico modo che conosciamo per far vedere quanto siamo fieri.
Siamo quelli che a volte litigano e non si parlano per giorni, mesi, anni, ma poi basta una parola e sembra non sia successo niente.
Siamo quelli che in macchina non riescono a mettersi d’accordo sulla musica da ascoltare.
Quelli a cui non vorresti mai far organizzare la tua festa di compleanno, di laurea o il tuo addio al celibato.
Siamo quelli che nei momenti importanti c’erano sempre.
Perché noi sembriamo una famiglia, ma siamo una cazzo di tribù.
Francesco Castiglioni