Fashion Revolution Italia: diritti umani e moda sostenibile

«Crediamo in un’industria della moda che rispetti le persone, l’ambiente, la creatività e il profitto in eguale misura». Queste alcune delle righe sulla pagina del manifesto di Fashion Revolution Italia, un movimento nato da una riflessione sulla necessità della moda contemporanea di adattarsi a un panorama che va cambiando, assecondando gli standard etico-ambientali che il presente impone. «Studi di mercato hanno visto che chi non investe nel mondo della moda in sostenibilità oggi, tra 10 anni avrà delle perdite di fatturato considerevoli, fino al 30%. […] Chi lo capisce, si adegua e fa qualcosa per entrare in questo nuovo flusso, oppure rimane indietro e perderà market share sulla fetta di mercato più orientata a comprare cose che sono fatte in maniera fair, ossia giusta». Queste le parole di Marina Spadafora, country coordinator delle attività dell’organizzazione in Italia, e fair fashion ambassador di professione.

Bernardo Bertolucci – Fashion Revolution

«Fair fashion vuol dire ‘moda giusta’, una moda che rispetta le persone, il pianeta, pur facendo profitto». Seppur Fashion Revolution possa ormai vantare la sua presenza in circa 100 Paesi, l’Italia riveste un ruolo di prestigio nel posizionarsi come country office. «Siamo attivi con tantissime iniziative tutto l’anno […] e abbiamo una divulgazione capillare». Così si racconta Spadafora, insegnante di sostenibilità ambientale e attiva divulgatrice di pratiche eco-sostenibili nel mondo della moda. 

Fashion Revolution nella sua declinazione italiana opera su più livelli, divulgando la sostenibilità tramite pratiche educative e attività di advocacy. Per quanto riguarda l’educazione, «siamo partner di School of WRÅD, una nuova accademia che divulgherà a livello internazionale i principi della moda sostenibile». Si lavora poi con le istituzioni, tra cui la Fondazione Pistoletto, nel promuovere eventi come ARTIVISM, una call to action volta a far dialogare sostenibilità ambientale e sociale nel mondo della moda, attraverso la messa in mostra di opere d’arte che parlano di sostenibilità.

Marina Spadafora, Matteo Ward e Giuseppe Sala all’inaugurazione di White Copy all0

Per quanto riguarda l’advocacy, Spadafora riflette sulla necessità di rivedere gran parte della legislazione operante nel settore della moda. Uno degli ostacoli più grandi, in tal senso, è la difficile tracciabilità della catena di somministro: «Molti marchi fanno outsourcing e producono in Paesi molto lontani da noi, non sono ancora attrezzati per controllare quello che succede nelle fabbriche dove viene prodotta la loro collezione, e questa è una delle cose che vanno corrette attraverso una legislazione più specifica che imponga una tracciabilità della filiera. Quello che vorremmo è avere delle ‘etichette parlanti’, con un codice QR che si possa scansire e che racconti al consumatore la storia di un capo: se fosse una t-shirt di cotone dal fiocco di cotone fino al negozioAd oggi, il movimento ha collaborato con altre 60 ONG alla redazione della proposta di legge ‘Fair and sustainable textile’, sulla base della quale il Parlamento Europeo costruirà una legislazione onnicomprensiva sul tessile, entro la fine del 2021. È un traguardo importante, indice dell’urgenza di guardare alla moda che verrà in un’ottica etica e sostenibile.  

Fashion Revolution Run

Per quanto riguarda il rapporto con i brand, Fashion Revolution, oltre alle attività di education e advocacy, stila annualmente il cosiddetto ‘transparency index’ «andando a fare delle domande molto precise ai brand circa la loro catena di approvvigionamento e, a seconda delle informazioni che ci forniscono, attribuiamo loro un ranking». È importante puntualizzare che si tratta di un indice di trasparenza e non di sostenibilità perché «prima di decretare se un brand stia facendo delle pratiche sostenibili è necessario sapere che pratiche sta adottando, quindi lo step numero 1 è la trasparenza». Arte, moda, etica, e sostenibilità, questi i valori fondanti di un movimento che si dà ogni giorno da fare nel tentativo di ripensare la moda in armonia con l’ambiente. «Mi auguro che un giorno avremo una fair fashion democratica, cioè che tutti si possano permettere di acquistare».

Gaia Bugamelli

© Credit immagini: Courtesy Marina Spadafora & Fashion Revolution Italia

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