Il paradiso che in Terra si può fare

preferisci ascoltare la notizia? Trovi il podcast in fondo all’articolo!

È il 1348 e Firenze è devastata dalla peste nera. Giovanni Boccaccio con la sua grande opera, il Decameron, attraverso la narrazione riporta il senso dove esso è stato smarrito.
Proprio a Firenze, davanti alla chiesa di Santa Maria Novella, si incontra una brigata composta da sette ragazze e tre ragazzi, che decidono di ritirarsi in una villa fuori città per scappare alla morte. Il contado in realtà si trova a soli dieci chilometri dalla zona urbana, ma si salva dalla peste proprio per un espediente narrativo: il racconto non è solo evasione dalla realtà, ma anche ricostruzione di senso. 

La peste ha a che fare con la storia e l’umanità, che sono in crisi, sul punto di capovolgersi. La peste disconnette i rapporti sociali, senza i quali nulla è vivibile. Boccaccio ci porta quasi per mano nel mezzo della vita umana e ci mostra come da questo infimo si possa risalire all’ordine grazie al racconto, alla letteratura. Il racconto diventa così  la ricomposizione di ciò che è stato infranto.
Infatti i dieci ragazzi si accordano di eleggere ogni giorno un re o una regina che sia responsabile dell’andamento quotidiano e passano le giornate raccontandosi novelle, alludendo così a un modello di società condivisa, dove è possibile ricostruire una societas, un “paradiso che in Terra si può fare”. Boccaccio ci ricorda però che il paradiso di cui parla non è una situazione religiosa,  ma un luogo che si contrappone alla realtà infernale, in cui si trova Firenze: la ricostruzione di un mondo ormai in frantumi. 

La Novella 4 della V giornata affronta il tema degli amori a lieto fine, raccontando la storia di Caterina e Ricciardo. La vicenda ha inizio quando la giovane Caterina si innamora di Ricciardo e il suo amore viene ricambiato. Il primo ostacolo insorge quando il padre di Caterina, molto affezionato alla figlia, si oppone perché pensa che sia troppo giovane. Ma il sentimento tra i due giovani è molto intenso, tanto che decidono di vedersi di nascosto sul balcone della ragazza. Caterina allora chiede ai genitori di poter spostare il suo letto sul balcone, con la scusa di dover dormire all’aria aperta per il troppo caldo e per sentir cantare l’usignolo. Ricciardo così di notte sale segretamente sul balcone e i due si divertono tutta la notte e ‘molte volte fecer cantar l’usignolo‘. 

È interessante vedere il livello di reciprocità tra i due personaggi, la spontaneità e la naturalità pura.
Il racconto sentimentale è qui riassunto in due righe, tutto nello sguardo della passione, dell’innamoramento tipico boccacciano. Si può desumere subito l’obbligo della risposta: l’amore obbliga chi è amato a riamare. L’alternativa all’amore corrisposto è la morte, nel caso in cui non ci sia reciprocità di sentimenti. Al contrario, in questo caso entrambi ricambiano ed entrambi sono consapevoli della possibilità della morte, nel caso in cui il proprio amore non sia ricambiato. 
Nell’ordine governato dal caso, nell’impero del caos, il tragico può capitare come risultato casuale degli eventi che si sommano l’uno con l’altro.
Quando i due giovani devono decidere come incontrarsi e Caterina pensa alla possibilità di dormire sul balcone, quest’ultimo diventa il medium tra il cavaliere e la donna, come elemento fondamentale della poesia cortese, nella quale però non si va mai oltre ad esso. Il poeta nel raccontare ha bisogno di un amore teorico, nevrotico, per trovare un ostacolo che impedisca di amare per davvero. Boccaccio ambienta la scena erotica proprio nel medium, che dovrebbe essere punto di non superazione, eliminando quindi l’idea di un ostacolo, che viene sormontato perché non è pensabile nel mondo dell’autore. Egli parla infatti di un mondo in cui gli amanti sono legati da un obbligo carnale vicendevole, senza possibilità di scelta.
Il desiderio condiviso – l’amore – regge questo “paradiso che in terra si può fare”.  Un Eden qui in terra, senza attesa, costruito attorno al principio del piacere e della voluttà. 

«Il veder questo giardino, il suo bello ordine, le piante e la fontana co’ ruscelletti procedenti da quella, tanto piacque a ciascuna donna e a’ tre giovani che tutti cominciarono ad affermare che, se Paradiso si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di quel giardino gli si potesse dare.»

Giovanni Boccaccio, Decameron, introduzione alla Terza Giornata

Quello di Caterina e Ricciardo è lo stesso Eden in cui vive la brigata – il giardino da una bellezza compiuta – a cui non si potrebbe aggiungere nulla.
Il paradiso che in terra si può fare è questo in cui abitiamo, è il hic et nunc in cui dipartono le narrazioni, in cui partono i pensieri. 
Il messaggio finale è proprio questo: il paradiso lo possiamo fare nella nostra Terra. Lo facciamo ogni giorno, ricucendo la Storia con le nostre narrazioni, per non permetterle di capovolgersi e di disconnettere i nostri rapporti sociali. 

Giulia Ferrero

© Credit immagini: link + link + link + link

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.