Il marinaio di Pessoa : limiti e confini dei sogni

«Il passato non è altro che un sogno…Del resto neppure io saprei dire che cosa non è sogno […] Ah, parliamo, sorelle mie, parliamo tutte insieme ad alta voce… Il silenzio comincia a prendere corpo, a diventare una cosa […] Perché non potrebbe essere l’unica cosa reale in tutto questo, il marinaio, e noi e tutto il resto solo un suo sogno?»

Pare che l’unica pièce teatrale di Fernando Pessoa, Il marinaio, sia stata scritta in una sola notte, tra il 12 e il 13 ottobre 1913 e pubblicata due anni dopo sulla rivista Orpheu, anni durante i quali il successo del grande autore portoghese ancora tardava ad arrivare.

L’opera, o come la descrive Pessoa, il ‘Dramma statico in un quadro’, è scritta sotto forma di dialogo tra tre fanciulle che vegliano un’amica morta in una stanza quasi buia di un castello.

Le vegliatrici sono delle figure ambigue, abituate a essere un po’ tutto e un po’ niente, sembrano indefinite in un limbo sospeso tra ciò che è e ciò che non è, tra realtà e finzione.
Si avverte infatti, fin dall’inizio della narrazione, un senso di scomodità e di disagio nel trovare un argomento di cui parlare e la conversazione fatica a iniziare, proprio come se essa insieme alla realtà fosse frantumata in mille pezzi e non si sapesse quale frantume seguire. 

Si entra così in una dimensione enigmatica: la prima vegliatrice tenta di raccontare il suo passato, sempre che esso sia mai esistito. Le donne infatti non sanno se hanno mai avuto un passato e se, qualora lo avessero avuto, valga davvero la pena raccontarlo. Ci si chiede allora quale valore assuma la conversazione e così se convenisse riempire il silenzio, poiché si finirebbe per raccontare solo ciò che è fittizio, essendo la realtà così multiforme. Talvolta conversare significa dire qualcosa che è già stato, forse già perso. 
«TERZA VEGLIATRICE: Ho l’orribile sensazione di avervi già detto poco fa quello che avevo ancora da dire. Le mie parole presenti, appena le avrò dette, apparterranno subito al passato, resteranno fuori di me, non so dove, rigide e fatali.»

Si arriva dunque alla conclusione che non valga la pena raccontare:
«PRIMA VEGLIATRICE: Perché si muore?
SECONDA VEGLIATRICE: Forse perché non si sogna abbastanza…
PRIMA VEGLIATRICE: È possibile…Ma allora, non varrebbe la pena di chiudersi nel sogno e dimenticare la vita, perché la morte si dimentichi di noi?
SECONDA VEGLIATRICE: No, sorella mia, niente vale la pena.»
Invitando così il lettore a rinunciare e a perdersi in una narrazione che non sembra avere né un capo né una coda. 

Allo stesso tempo però, le tre fanciulle hanno il timore che con il silenzio poi si possa scomparire poiché il silenzio stesso è pervaso di vuoto e non porta quindi con sé alcun significato, come se la notte finisse e non si avesse più memoria delle stelle.
Così una delle vegliatrici decide di raccontare un sogno in cui c’è un marinaio che naufraga su un’isola deserta e in preda al dolore che il ricordo della patria perduta gli provoca comincia a immaginare una patria che non aveva mai avuto, come se fosse stata sua. Ed ecco che si apre il rompicapo: la fanciulla non sa dire il finale. Forse il marinaio non è mai naufragato ed è tutto un suo sogno? o forse sono le fanciulle stesse all’interno di un sogno più grande e generale dei fantasmi del castello?

«PRIMA VEGLIATRICE: Ma almeno come finì il sogno?
SECONDA VEGLIATRICE: Non finì…Non so…
Nessun sogno finisce

L’intera opera quindi ruota e talvolta si conclude sul tema dell’inquietudine, soggetto che farà da filo conduttore a tutti gli scritti di Pessoa. Si esaltano l’indeterminatezza e il confine: è evidente una certa oscurità a definire cosa sia un confine, dove possa iniziare e finire la realtà.
Il marinaio, oltre ad anticipare questa tematica tanto cara all’autore, porge degli spunti positivi: un sogno, per quanto possa essere grande o irrealizzabile, non finisce. Non importa se ci si è dimenticati di quel sogno, se esso sia la manifestazione delle incertezze più fastidiose o ancora una vita così lontana dalla comune realtà, nessun sogno finisce né ha la possibilità di poter terminare se si continua a parlare e la conversazione resta viva

Giulia Ferrero

© Credit immagini: link + link + link + link

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