E se i musei guidassero la sostenibilità ambientale?

Da scarto a oggetto di lusso. Dalla discarica alle pareti di un palazzo. È il destino un po’ originale di alcune bottigliette di plastica che diligentemente buttiamo nel bidone della differenziata.

A Torino, nelle sale barocche di Palazzo Barolo, si è conclusa ieri la mostra A-Collection, un’esposizione di arazzi ottenuti dalla lavorazione della plastica riciclata. Le opere d’arte sono state realizzate da Giovanni Bonotto, che – attraverso una nuova tecnologia di fusione e filatura della plastica – ha tradotto in ‘tessuto’ i disegni di dieci artisti dell’accademia torinese. Il risultato è sbalorditivo: grazie alle infinite cromie e matericità dei filamenti di plastica, gli arazzi presentano sfumature e dettagli finissimi, sprigionando colori sgargianti di fronte all’occhio rapito dello spettatore.

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Se l’arte è per definizione avanguardia e rivoluzione, di fronte alla mostra A-Collection assistiamo alla ridefinizione dello spazio artistico, del museo, che pare volgersi verso una nuova prospettiva: quella di coinvolgere le istituzioni culturali e locali sulla relazione tra arte, sostenibilità ed economia circolare.

Il ruolo attivo dello spettatore

Antonio Lampis, direttore generale dei Musei MiBAC, riflette sulla necessità di «ridefinire il modo di pensare ai musei insistendo su un maggiore coinvolgimento del pubblico, e incentivando nuovi meccanismi cognitivi attorno all’opera d’arte». Troppo spesso camminiamo passivamente di fronte a un susseguirsi di quadri e sculture che non comprendiamo. Il museo deve chiarire i dubbi generati dall’opera, e al tempo stesso collaborare con lo spettatore per trasmettere un messaggio: culturale, sociale, politico.

In questo senso, qualche anno fa in occasione di una festa pubblica organizzata dal MoMA di New York, sono stati installati dei sistemi di cattura dell’inquinamento, per far emergere preoccupazione su un problema globale in un luogo di produzione culturale, oltre che artistica.

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Luogo d’incontro aperto a tutti

Il turista e l’erudito: le figure principali che incontriamo quando varchiamo la porta della cultura. Ma dove sono tutti gli altri? Così facendo, si tradisce la vocazione originaria incarnata dal museo.

Di recente, il mondo digitale ha lanciato l’applicazione Muzing allo scopo di favorire l’incontro con l’altro davanti a un’opera d’arte in un contesto – come quello museale – dipinto dalla bellezza.

Il museo, pertanto, richiamerebbe attorno a sé le categorie sociali tendenzialmente lasciate fuori dal giro culturale. Un modello – a questo proposito – è individuabile nel comune vicentino di Bassano del Grappa. I Musei Civici della città ospitano percorsi alternativi rivolti a un pubblico con disabilità motoria e progetti diretti alle persone sorde e ipovedenti: categorie troppo spesso ai margini della fruizione artistico-culturale.

Agitatore sociale

Nei corridoi delle gallerie d’arte – vuoti di persone ma non di capolavori – rimbombano le voci della stanza adiacente, in cui l’unica opera esposta non è contemplata ma unicamente ‘flashata’ in un veloce bagliore spasmodico di luci bianche.

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«It’s all about consumption» tuonava qualche anno fa l’ex curatore del MoMA di New York Pedro Gadanho.

Il museo non può ridurre la sua vocazione unicamente al consumo. Di fronte a un pianeta a rischio, segnato da crisi umanitarie e un consumismo sfrenato che risucchia la diversità puntando sull’omologazione del prodotto – lo spazio dell’arte deve veicolare l’uomo a contemplare fenomeni e problemi sociali che minacciano l’esistenza. In altre parole, risvegliare la coscienza dell’individuo.

Emerge quindi un ulteriore ruolo – questa volta politico – che il museo potrebbe ricoprire. Quello di agitatore sociale.

In merito alla crescente preoccupazione sul cambiamento climatico, il museo può scegliere se continuare ad adattarsi oppure iniziare a guidare la rivoluzione per la sostenibilità ambientale.

Ridurre al minimo l’impatto ambientale; piantare alberi e zone green adiacenti al museo; colmare il vuoto lasciato dallo stato allestendo spazi per la socializzazione, svago e lavoro. Per rivoluzione museale sostenibile, si intende soprattutto questo.

Museum facing extinction – We Are Museums

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Per far fronte al collasso ecologico e alla conseguente estinzione del genere umano, Diane Dubray ha fondato il progetto We Are Museums. Combattere l’impatto climatico dei musei ma non solo: secondo la fondatrice francese «è tempo d’interpretare il ruolo di agitatore sociale nella crisi climatica».

La proposta lanciata dalla piattaforma ricade sulla creazione di una rete di musei in grado di darsi delle direttive comuni per guidare la sostenibilità ambientale. Spazi affollati, biglietto caro e gambe pesanti: il museo può essere molto di più, ma è necessario che si apra maggiormente alla collettività.

In una delle sue ultime apparizioni televisive, Andrea Camilleri ammoniva il pubblico italiano sulla vocazione fondamentale della cultura: «Il sapere chi ce l’ha lo deve seminare, come si semina il grano. Spenderlo. Il sapere dev’essere il nostro uso quotidiano. Il giorno in cui questo avverrà saremo davvero uomini sulla Terra».

Pietro Battaglini

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