Pellide era una libreria come ne sono rimaste poche oggi. Era uno di quei colossi a cinque o sei scaffali, mastodontici, che si ha la sorte di incontrare solo, in alcune preziosissime circostanze, o negli studi impettiti di regnanti che furono, immacolatamente conservati in castelli eremitici fuori città, o a casa dei nonni.
E Pellide stava, mica per niente, proprio a casa di una nonna. Una nonna come tante altre, di quelle nonne che sanno ricamare e cucire, di quelle nonne che giocano a carte e che cucinano ogni ben di Dio, di quelle nonne che hanno sempre un biscotto da inzuppare nel tè quando vai a trovarle, e una parola dolce con la quale riparare una giornata storta. Una nonna che però stava abbandonando il suo appartamento a sei stanze, dopo la morte di nonno, e che andava ora trasferendosi in un bilocale tranquillo vicino a casa di un’amica poco fuori dal chiassoso centro cittadino.
Una nonna che avrebbe fatto volentieri a meno di Pellide e della sua presenza ingombrante, e che aveva allora deciso di venderla ad un’allegra coppia di donne appena trasferitesi nel condominio. Le mamme di Ludovica.
«Ah-ah-ah, andrai a vivere in una stanza rosa, dove non ci sarà spazio per la tua storia e le tue abitudini, per il tuo vissuto e i libri importanti di cui tanto spesso ti vanti di essere carica. Verrai piazzato tra quattro pareti sberluccicanti, dove le tue assi saranno imbrattate di appiccicose fotografie e i tuoi pianali carichi di televisione, peluche e delle altre cianfrusaglie di una bambina di 9 anni», gli ricordava il tappeto sotto di lei, lui che presto sarebbe finito accomodato nel salottino della stessa nonnina nel nuovo bilocale.
Pellide piangeva, soffocava le lacrime nelle pagine della biografia completa di Giulio Cesare, stemperava i singhiozzi nei fogli spessi delle poesie di Montale, e attendeva la sua fine deplorevole rileggendo ogni giorno uno dei volumi che tanto a lungo aveva ospitato dentro di sé, sui suoi scaffali. Non riusciva proprio a rasserenarsi all’idea di quella modernità impostale con la forza, di quell’universo di oggetti di uso comune in tutte le case dei bimbi di oggi, simulacri di un universo di senso al quale mai si sarebbe abituata, cresciuta com’era nella casa di gente del mondo di ieri.
Giunse il fatidico giorno. Pellide venne avvolta in grossi teli spessi, fatta su in un fagottone gigante, presa di peso e traslocata nella stanza di Ludovica al piano inferiore. Rimase così, incelofanata di tutto punto (piuttosto poco interessato a scoprire quel “là fuori” a dire il vero) fino al giorno seguente, quando le due donne proprietarie di casa, armate di spazzola e lucidante, la rimisero a nuovo dandole una bella pulita.
Fu solo allora che, lasciata sola a meditare nell’attesa che il lucido si asciugasse e che Ludovica tornasse da scuola, Pellide gettò un primo sguardo timido alla stanza. Uno sguardo rapido e timoroso, che bastò però a renderla consapevole di quanto quello spazietto a pochi metri dalla sua ubicazione di una vita, fosse in realtà ben diverso da quanto si aspettava.
Le mura dipinte di un verde tenue, le foglioline di tante graziosissime piantine disseminate in ogni angolo della stanza, la luce soffusa di una lampada dalla forma bizzarra adagiata sul comodino vicino al letto, un letto grande, a forma di triangolo, rivestito di una coperta coloratissima, messa insieme dalla fantasia di chi aveva deciso di prendere tanti quadratini di stoffa diversa e cucirli l’uno sull’altro, come piastrelle. In un angolo della stanza, uno spiffero dalla finestra socchiusa sollevava piano alcune fotografie, appese a un origami di fili che costruivano così uno spazio di ricordi e sorrisi, di amicizie e di luoghi lontani, dove probabilmente Ludovica era stata, dove forse sarebbe voluta andare un giorno.
Stava ancora cercando di mettere ordine nei suoi pensieri rispetto a quanto appena realizzato, quando Pellide notò la porta schiudersi, e Ludovica apparire. La bambina teneva in mano un libro, dalla copertina rossa. Un libro grande e rilegato in pelle, di quelli che solo dal fuori ti incuriosiscono e ti fanno venire voglia di tirarlo su in libreria. Si avvicinò piano coi suoi passetti svelti, e adagiò il libro sullo scaffale della libreria più in basso. «Vabbè mamma, io inizio a metterci questo, che la stanza senza i miei libri mi fa vuotezza».
I miei libri. Plurimi. Forse diversi? Nuovi. Quanti? Che emozione, già le piaceva la sua vita lì pensò Pellide, rilassandosi sotto il peso di quel volumetto accostatogli al petto dalla sua nuova amica.
Gaia Bugamelli