Da sempre parlare di malattie mentali – più o meno gravi – è un tabù: un qualcosa da tenere nascosto e segregato. Certamente dobbiamo al Novecento – per molti il secolo dell’introspezione – più di quanto possiamo aspettarci sul tema: è infatti il periodo della scoperta del sé, della coscienza, del flusso di pensieri, delle visioni soggettive in un mondo di fatti reali. È il secolo di Nietzsche e di Freud, che pongono la verità delle cose nelle esperienze e nelle narrazioni che le persone custodiscono all’interno di sé. È il secolo di Einstein e del Relativismo, di Heisenberg e dell’Indeterminazione, dai quali principi scaturiranno le scienze sociali, in cui non tutto è calcolabile con assoluta certezza. È il secolo del dubbio.
Se abbiamo imparato così tanto da questo secolo, perché non riusciamo ad affrontare a viso aperto la ‘Quinta ondata di Covid, quella dei disturbi psicologici’? Così recitano svariati articoli delle principali testate giornalistiche descrivendo un problema già rilevante alcuni anni fa, ma in crescita esponenziale a seguito delle condizioni di vita pandemica. tra cui l’isolamento sociale. I principali disturbi in aumento sembrano essere quelli non somatici, non causati da un preciso malfunzionamento organico, ma quelli che potremmo descrivere come ‘sociali’.
Intanto si prova a correre ai ripari. Ormai la linea di incentivazione post-crisi si basa su due pilastri, chiamati PNRR e Bonus. Il primo affronta superficialmente il problema, ponendo la salute mentale come uno dei valori che animano il Piano, ma effettivamente non ha poi risvolti pratici. Per quanto riguarda i Bonus, si pensa a un ‘Bonus Psicologo’, ma l’idea al momento è stata scartata in favore di altri bonus per la ripresa economica. Guardiamo agli investimenti passati: così come siamo stati incapaci di incassare il colpo nelle terapie intensive due anni fa, allo stesso modo non vorremmo trovarci impreparati davanti a un fenomeno così grande di diffusione di disturbi psicologici. Servirebbero strutture, finanziamenti e servirebbero anche psicologi e psichiatri.. non proprio una risorsa facilmente reperibile.
Ma allora come ci difendiamo? Facile, ci aiutiamo. La storia di un piccolo liceo di Varese, come tanti altri, insegna al mondo dei grandi come la progettualità abbia effetti potenti. Progettare un liceo solidale, in cui si parla di sé stessi con gli altri, in cui ci si conosce, si discute di cose importanti. Il solo fatto di mettersi attorno da un tavolo a pensare un futuro diverso è un atto fondamentale e rivoluzionario. I ragazzi aggregandosi riescono a ottenere risultati, là dove la macchina pubblica ha fallito. Per esempio nella fornitura di servizi psicologici ed educativi all’interno dell’Istituto o con la possibilità della ‘carriera alias’ per gli studenti in transizione di genere. Ecco, mantenere la progettualità attiva, dal piccolo liceo ai grandi dirigenti di Aziende Sanitarie, mantiene lontani i mostri provocati nel sonno della Ragione.
Francesco Fiori
© Credit immagini: link