El bus tv, l’autobus venezuelano contro la censura

Negli ultimi anni molti giornali venezuelani hanno chiuso, sono passati sotto il controllo statale o sono diventati filogovernativi. Per rispondere e contrastare questo blocco informativo, un gruppo di giovani cronisti ha deciso di portare l’informazione per strada e sui mezzi di trasporto. Da quattro anni El bus tv si occupa infatti di fare divulgazione sia su temi come corruzione, violazione dei diritti umani, inefficienza della pubblica amministrazione sia su notizie ancora più attuali come campagna vaccinale, crisi elettorale, crisi migratoria. Oggi ci sono ventisei cronisti sparsi in otto stati del Paese che leggono le notizie sugli autobus – privati, evitando quelli statali e quindi più controllati -, nei quartieri e nelle baraccopoli venezuelane. Solitamente una singola squadra di lavoro è composta da tre persone: un giornalista, che presenta le notizie, il produttore, che chiede il permesso di salire sull’autobus e tiene la cornice e l’addetto al video, che riprende il telegiornale per poi pubblicarlo sui social network.

El bus tv è una delle poche realtà informative indipendenti ancora presenti in Venezuela. Dal 1999 l’ex presidente Chávez portò l’informazione al centro della sua politica: si è instaurato uno «Stato comunicatore», come dice lo studioso venezuelano Bisbal, con l’obiettivo di trasformare la struttura preesistente e dare più potere ai giornali filogovernativi. Le strategie per controllare la stampa sono diventate sempre più sofisticate, tanto che oggi ci sono almeno sette leggi che blindano il sistema dell’informazione. 
Dal 2004 in Venezuela hanno chiuso più di duecento testate tra giornali, radio e tv. Dei 130 quotidiani stampati ne restano solo diciannove. «Il fatto stesso che El bus tv esista è di per sé una denuncia, una protesta contro la censura e la difficoltà di accesso all’informazione» – spiega Abril Mejìas, una delle fondatrici. Queste leggi sono la base di un controllo statale sull’informazione. Ci sono poi anche altre limitazioni, come le continue interruzioni dell’elettricità e la connessione internet lentissima, due fattori che limitano ancora di più la possibilità di accedere a contenuti online, che sicuramente porterebbero a una diversità di punti di vista. 

Quattordici milioni di persone, la metà della popolazione venezuelana, vive in regioni in cui l’accesso all’informazione è decisamente limitato. La disinformazione è molto alta, specialmente in quartieri in cui non esistono televisioni o altri mezzi di informazione. Ne è un esempio Chapellìn, quartiere al centro di Caracas, capitale del Venezuela: i due giornalisti per El bus tv sono due abitanti del quartiere, Roberto Colmenares, un tassista disabile, e Joel Barreto, un ex giocatore di pallacanestro. Raccontano che «a poco a poco ci siamo ritagliati uno spazio»: all’inizio i cronisti erano infatti considerati degli oppositori politici, tanto che i giornali murali da loro affissi per le strade venivano spesso strappati e le loro famiglie minacciate. La disinformazione nel quartiere è così diffusa che alcuni non sapevano della morte di Diego Armando Maradona, a ormai molti mesi dalla sua morte. 

La storia di El bus tv è incominciata tra le proteste del maggio 2017, dopo che Nicolás Maduro, presidente dal 2013, aveva assunto ancora più potere attribuendo al Tribunale supremo di giustizia anche le funzioni politiche del Parlamento. Cheo Carvajal, giornalista e attivista, aveva proposto degli incontri in una libreria indipendente per pensare a delle forme di protesta pacifica. In questi incontri vi erano state più di cinquanta vittime. Alla fine di uno di questi scontri Claudia Lizardo, produttrice audiovisiva e componente di un gruppo musicale, era salita con il suo compagno su un autobus, e aveva notato che i passeggeri erano tranquilli e indifferenti. «Vivevamo due realtà parallele: da una parte la vita andava avanti come al solito, dall’altra c’erano le proteste con i gas lacrimogeni e i poliziotti. Ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare sugli autobus quello che succedeva come una performance, con la cornice di una tv e lo stile di un racconto». In spagnolo El bus tv suona come el bus te ve, cioè l’autobus ti vede, «quindi è un doppio senso». Insieme ad alcuni amici giornalisti e cronisti hanno così iniziato a strutturare il progetto, pensando ai ruoli, ai copioni, alle linee di bus più sicure.

La giornalista Laura Helena Castillo, cofondatrice del progetto, rivela che El tv bus «lavora per contrastare la perdita di memoria. In questo paese la voglia d’informarsi ha perso forza, perché le persone devono pensare innanzitutto alla sopravvivenza». Da informazioni generali e di attualità sono nati poi approfondimenti locali e di servizio: «Non lanciamo un messaggio a centinaia di migliaia di persone, come fanno i politici. Entriamo nei piccoli spazi, diffondiamo le notizie con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione». 

Con l’interruzione di alcune linee i giornalisti si sono organizzati per presentare il telegiornale dai balconi, facendo nascere ‘La ventana tv’, cioè ‘la finestra tv’. «Con la pandemia alcune linee di autobus sono scomparse, ma la gente ha ancora voglia di essere informata» – dice Marylee Blackman, giornalista di Maracaibo, capitale dello stato di Zulia. Tutti i giornalisti giovani sono accomunati da un fatto: sono nati quando Chavez era già salito al potere, non hanno quindi conosciuto nessun’altra forma di governo. Un giovane giornalista, Alejandro Herrera, racconta: «Dal primo momento ho capito che stavo facendo qualcosa di buono per il mio paese, per oppormi alla censura. Ho 21 anni e non voglio andarmene dal Venezuela. El bus tv ha avuto un ruolo importante nella mia scelta».

Marta Schiavone

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