Attenzione: l’articolo contiene dei contenuti sensibili che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni lettori e lettrici
Racconto ispirato all’intervista fatta ad Alba Toninelli sul suo rapporto con l’anoressia e il perché ha deciso di parlare sui social dei DCA, disturbi del comportamento alimentare.
A ripensarci, nei primi tempi i round duravano pochi minuti.
La campana suonava e un cartello calava dall’alto con scritto ‘colazione’. All’inizio gli scontri duravano poco, qualche montante ben assestato e il nemico era a terra. Nessun applauso, le luci si spegnevano e tutto taceva fino all’incontro successivo.
Alba non ricorda quando il match ha iniziato a farsi più lungo. L’allenamento dello scontro precedente non bastava più, serviva sempre più concentrazione, più gioco di gambe, più fiato, più forza. I round da 3 al giorno erano diventati 5 (colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena). Niente arbitri, niente pubblico, solo lei e il nemico. Entrambi si evolvevano volta per volta, si conoscevano, a volte si sorprendevano. Era diventata una partita a scacchi. Ogni pugno doveva essere l’ultimo, colpi mortali, finché solo uno dei due restava. La campana ha smesso di suonare una settimana fa, quando è iniziato il ricovero.
La prima notte, seduta sul letto, Alba ricorda chiaramente che i round ormai non servivano più, in quel momento il trillo della campanella si era trasformato in un suono a morto.
«Perché non capite che l’olio lo devo mettere io nella pasta?! Porca tr**a.»
Angela siede vicino ad Alba nella mensa comune, le mani in grembo e i capelli in uno chignon.
Facendosi un po ‘ avanti le accarezza il polso.
«Alba, è proprio poco. Deve esserne sfuggito un po’ in mensa. È una goccia.»
La ragazza ritrae la mano, odia essere toccata, soprattutto quando è arrabbiata. Ha concordato con il nutrizionista che solo lei può mettersi l’olio nella pasta. Si sente scavalcata e la mano dell’infermiera sulla sua la fa rabbrividire, in quel momento sente che anche un semplice filo di vento o granello di polvere la possa sgretolare e far cadere in mille pezzi. Usa le sue forze per essere più rigida possibile.
«Io ora non voglio mangiare.» Il sondino brucia il naso e la gola, non vorrebbe parlare più.
«Lo sai che non puoi farlo.»
«Faccio quel ca**o che mi pare. Non capite neppure le cose più semplici.»
In sala gli altri ragazzi del reparto godono doppiamente di quella sfuriata. La nuova arrivata dà spettacolo e allo stesso tempo sentono allentare lo sguardo degli infermieri sui loro piatti, possono respirare un po’.
Accanto alla pasta in bianco ormai fredda, un piatto di insalata e del pollo finemente sminuzzato in strisce quasi trasparenti.
«Almeno non fatemi mettere l’olio nell’insalata.» Sapeva che se avesse rinunciato a mangiare, l’unica soluzione sarebbe stata usare il sondino, inoltre avrebbe allungato la sua permanenza nel reparto di psichiatria.
«Mettine almeno un quarto di quello che dovresti mettere.»
Finì di mangiare tra le lacrime. Il nemico le stava dando tante mazzate quel giorno.
Nel pomeriggio cammina in camera per non farsi scoprire. Segue binari invisibili, accompagnata dall’asta del sondino. Ogni passo sono 0,02 kcal bruciate. I calcoli balzano nella sua mente. Se uno spettatore avesse osservato dalla finestra, avrebbe visto un’ombra, forse un fantasma, vagare dentro la stanza. Dalla porta alla finestra, dalla finestra al letto, dal letto alla porta. Un’anima perduta risucchiata in se stessa. Una persona implosa.
Qualcuno bussa alla porta.
«Alba sto entrando.»
Angela entra con la merenda, un frullatino di frutta.
Alba riprende coscienza e si getta sul letto, spera che non l’abbia beccata. Non vuole che le portino via la porta della camera.
«Mettilo lì.»
«Mangialo con me, intanto io mi fumo una sigaretta se non ti dò fastidio.»
«Se proprio devi.»
Alba si allunga a ricevere la polpa di mela e osserva la poltiglia giallognola che cola dalla punta del cucchiaino, un grammo alla volta.
«Perché oggi hai fatto casino in mensa? Mi sembravi avviata» – l’infermiera accavalla le gambe e sbuffa il fumo verso il soffitto.
Il silenzio accompagna lo sguardo di Angela sulle dita insanguinate di Alba.
«Ti mangi ancora le pellicine vedo.»
«Solo quando sono agitata.»
É il giorno della pesata. Nel reparto scende il gelo ogni volta che arriva questo fatidico giorno. I ragazzi scendono un po’ di più dentro se stessi, preparando la rete di salvataggio, strategie per compensare. Come quando d’inverno, sulle strade ghiacciate, si perde il controllo dell’auto e si inizia a scivolare. Nulla può fermare l’inerzia e mentre il muro si avvicina non si può fare altro che prepararsi al colpo e sperare che non faccia troppo male.
«Sei abbastanza grande per firmare le dimissioni e uscire da quella porta. Non sei in TSO, nulla ti vieta di andartene se vuoi.»
«Non sai quanto vorrei a volte.»
«Perchè non lo fai allora?»
Alba stringe il lenzuolo del letto tra le dita, un paziente urla dal cortile una bestemmia. Al suono dell’imprecazione, Angela spegne la sigaretta nel posacenere sul tavolino e fa per uscire.
«Perchè so che se mi hanno mandato qui c’è un motivo. Ma non voglio vedere il mio peso. Sono enorme.» Sul ring l’avversario la sta mettendo all’angolo, si muove più agilmente del solito. Lo schiaffo delle guance e del mento di Alba contro i guantoni riecheggia nello stadio vuoto. Rimbomba inesorabile. Non resta che alzare la guardia e aspettare che là fuori passi e si stanchi.
Aspetta qualche minuto dopo che Angela è uscita dalla stanza. Si alza e va a chiudere la porta. Ripercorre i precisi binari immaginari, cammina pensando al momento che sta per arrivare, vede i propri piedi nudi sulla bilancia, il monitor e poi il verdetto. «Sei enorme, fai schifo, non riesci a controllarti.» Questo le dice la bilancia. Il cuore batte all’impazzata, il respiro accelera, suda e trema.
Quando riapre gli occhi c’è un nugolo di polvere di fronte al naso. Osserva le ruote del letto del reparto e solo dopo qualche secondo capisce di essere a terra. È svenuta.
Sente il pavimento freddo sul seno e le cosce, deve alzarsi in fretta per non farsi trovare.
É strano come il destino a volte trovi strade impreviste o particolari per mostrarsi.
Mentre cerca di rialzarsi aggrappandosi al letto, lo sguardo di Alba cade su qualcosa che penzola incastrato dietro al termosifone della stanza.
Si avvicina e poggiando la mano sotto al termosifone, afferra e spinge quello che le sembra un libro incastrato. Dopo una serie di strattoni riesce a estrarlo. Ci soffia via la polvere, la copertina nera e graffiata dà l’idea ad Alba di un libro molto usato, quasi usurato.
Inizia a sfogliarlo mentre si risiede a letto. Non si accorge che non pensa più a quello che l’aspetterà tra qualche ora. È solo lei, nel suo presente, mentre inizia a scorrere le pagine di quello che capisce subito essere un diario.
Oggi ho provato a farmi del male. Sono salita sul tavolino della stanza e sono caduta a peso morto sul volto. Volevo morire? Non credo, volevo solo soffrire e pulirmi un po’, togliere il sozzume che mi sento addosso. Angela mi ha trovato a terra con il labbro rotto e mi ha sgridato. Penso che mi conterranno per qualche giorno. Spero non mi taglino le unghie almeno, così posso spingerle nel palmo della mano mentre sarò legata.
Mi chiedono che cosa mi aspetto del mio futuro, vorrei essere lasciata da sola. Mi hanno rinchiuso qui dentro ma io ho tutto sotto controllo. Pesi troppo poco mi dicono, rischi di non svegliarti più la prossima volta che andrai a dormire. Mi continuano a dire così ma non sanno che io sto peggio quando calcolo le kcal che mi fanno ingerire qui. Vorrei vomitare, sento ogni grasso e carboidrato cadere sulla mia pancia e sulle mie cosce. Cerco un equilibrio che fuori non capiscono, sono su un filo di metallo: vorrei essere libera di bilanciare per me stessa la mia vita, la mia dieta. Dicono che muoio se non mangio, non sanno che muoio se mangio. Allora mi faccio del male, per purificarmi. Ma nessuno lo può capire.
Alba legge e resta fissa su quelle parole scritte con foga, scavando con la biro la carta del libro a righe. Non aveva mai sentito parlare di anoressia prima della diagnosi. Pensava fosse la malattia delle ballerine e delle modelle capricciose. Di quelle che vogliono essere belle. Lei però non vuole essere bella, vuole soltanto non perdersi, vuole avere il potere di decidere, di dire. «Ok Alba, ora ci sei, hai il controllo.»
All’inizio stavo bene, era meraviglioso. Mi sentivo euforica a perdere kg ogni settimana. La mia luna di miele, che termine strano. Mi immaginavo stesa su una spiaggia con la mia anoressia a fianco. Stavamo bene e speravo continuasse sempre così. Ma non può essere sempre così. Il peso diminuisce e la gente parla. Mangia, ti prego. Fallo per me, almeno metà piatto. Non ti vergogni? I problemi nella vita sono altri.
Alza lo sguardo dal diario verso il tavolo. Pensare che qualcuno possa gettarsi da lì solo per farsi del male, la turba. Eppure leggendo quelle parole sembra di riflettersi in uno specchio. Quella ragazza parlando di sé stessa stava parlando in qualche modo anche di lei. Le parole che scorrono da un capo all’altro del foglio segnano una descrizione accurata di un vissuto comune.
Aggiusta il sondino e sente che le preme sulla faringe, il tubo che ti obbliga a stare in vita.

Restringi, restringi, restringi. Questo mi dice la malattia. Io so che sono malata. Non è normale a 18 anni non avere più il ciclo, avere sempre freddo eppure continuare a tirare la corda, restringere fino a diventare non più te. Angela vuole che io scriva. Dice che mi può aiutare a mettere in ordine le cose che ho in testa. Da quando sono qui avrò sistemato le mie cose nell’armadietto almeno 20 volte. Non riesco a farne a meno, mi piace che ogni cosa abbia il suo posto, quello fatto per lei. Da grande forse voglio fare la designer d’interni. Vorrei arredare tanti open-space, stile minimal e pulito. Lo farei con passione, se esco di qui prometto di rimettermi sotto con lo studio. Ci sarà sempre qualcosa di fuori posto intorno a me (o dentro di me), ci sarà sempre da lavorare, da togliere, spostare, buttare, mi sento euforica adesso. Non mi sono fatta del male oggi, lo considero un successo.
Bussano alla porta.
«È il momento Alba, vieni per favore.»
«Un attimo.»
«Ci metteremo solo un attimo, tesoro. Gli altri sono già in fila.»
Alba si alza con il diario in mano e si sposta in corridoio. Davanti a lei ci sono cinque ragazzi in fila, c’è silenzio. È il loro miglio prima della sentenza. Che vada bene o male resterà sempre una sentenza.
La mia famiglia è preoccupata, lo psichiatra dice che non mi voglio fare aiutare. Eravamo nel suo studio. Io, la mamma e il papà, da dietro la grande scrivania in legno ci guardava e parlava di me in terza persona, mi guardava negli occhi e mi diceva: «Così non va. Pesi 35 kg. Il tuo cuore non può reggere, Alice. Vuoi vivere?». Tornati in camera la mamma e il papà mi hanno sgridato. Ti abbiamo viziata troppo, è colpa nostra. Mi si lacera il cuore a pensare che stia facendo male ai miei genitori.
Mentre la fila avanza, il cuore di Alba inizia a farsi sentire. Pompa con forza. Pensa ad Alice e si sorprende di quanto abbiano in comune lei e una ragazza che ha conosciuto solo attraverso il diario. Si chiede se anche lei combatta contro il suo nemico nel grande stadio vuoto della sua testa.
«Dove l’hai trovato?» Angela punta il diario con il dito.
«Era nascosto in camera mia. Ci sei pure tu tra le pagine.»
«Posso?»
Alba allunga il diario e lo porge all’infermiera che dopo pochi istanti si fa cupa.
«Mi ricordo di Alice. Era stata qui 3 anni fa.»
«Che le è successo?»
«È uscita su sua richiesta, noi eravamo altamente contrari. Non ho più avuto sue notizie.»
Restano in silenzio per qualche istante, ognuna dentro ricordi privati.
«Sai, Alba, io lavoro qui da molto. Non so come dirlo, ma penso una cosa: chiunque entri qua dentro è un mondo a sé stante, come un fiocco di neve, diverso da tutti. Eppure i fiocchi di neve sono fatti di acqua congelata, tutti quanti. Sono diversi ma allo stesso tempo uguali. Ci sono ragazze che guariscono e altre no, non penso esista la bacchetta magica. È un lungo percorso, Alba. Nessuno può combattere la tua battaglia se non te stessa, però sapere che non sei l’unica a sentirti fuori posto in questo mondo aiuta. Ho proposto ad Alice di scrivere perché volevo che leggesse i suoi pensieri agli altri pazienti. Volevo che facesse cadere il muro che la divideva dal mondo. Ma poi si è fatta dimettere. La penso a volte.»
Alba gira tra le mani il diario.
«Hai una sua foto?»
«Di Alice?»
«Sì»
«Aspetta, dovrei averla. Ecco qui, siamo noi infermiere intorno a lei per la sua festa di compleanno.» Mostra la foto sull’iPhone.
Alice ha gli occhi verdi e lunghi capelli neri, il septum al naso e tanti tatuaggi sulle braccia scheletriche. È bellissima e sembra felice.
«Vorrei chiederti un favore Angela.»
«Dimmi, Albina.»
«Vorrei mi filmassi quando entrerò in quella stanza, qualsiasi cosa succeda. Tu continua a filmarmi.»
«Perchè?»
«Perché non voglio più combattere in uno stadio vuoto.»
Angela non poteva capire quelle parole di Alba, ma le accetta.
É notte e Alba non riesce a dormire. Prende il diario e legge l’ultima pagina scritta.
Ci sono delle volte in cui mi chiedo perchè sono al mondo. Mi sento così fragile che potrei essere fatta di cartapesta. Mi si chiede sempre di fare qualcosa, ma nessuno capisce che a volte vorrei solo non fare nulla. Rannicchiarmi a terra e aspettare che qualcuno mi colga e mi porti via con sé. Vorrei lasciarmi andare e perdere il controllo. Vorrei delegare e lasciar scegliere agli altri. Vorrei poter dire che è arrivata la fine della lotta, vinto o perso che sia. Vorrei solo che tutto passi. Ma qui nulla passa davvero, qui è sempre una trincea, qui la notte è agitata e il cielo è sempre coperto, non ci sono stelle e nel profondo penso di non essere fatta per le notti serene e i cieli stellati.
C’era un intero mondo che turbinava nel cuore di Alice, Alba lo sente, si sente parte della sua tempesta e avrebbe voluto essere lì con lei anni prima, tenerla per mano e dirle che anche lei prova quello che Alice sente. Avrebbe voluto poterle dire, io non posso combattere per te, ma lascia che io ti inciti, che sia al tuo fianco.
Stesa sul letto prende il cellulare, guarda il video della pesata e cerca di trovare il coraggio di farlo. Dentro la sua testa il nemico la sta sbattendo alle corde con una serie di jab. Dal buio assoluto dello stadio, una piccola voce si fa largo e si ferma proprio sotto il ring. Per la prima volta il rumore dei guantoni e del fiatone non è l’unica cosa che sente.
«Puoi farcela, Alba. Forza.»
Alice è in piedi, più bella che mai, agita e batte le mani. Il nemico sembra confuso e Alba sfrutta l’occasione. Gli sferra un gancio sul fegato e riprende il centro del campo. Può respirare un pò di più.
É in quel momento che carica su YouTube il video.
Parlerò di me, per parlare di tutte le altre.
Non avrebbe mai fatto una cosa del genere prima di trovare il diario. Continua a combattere, ma ora, per una volta, non si sente più completamente sola.
Ha permesso che qualcuno entrasse nello stadio buio. Spera di entrare anche lei negli stadi di altre che combattono da sole, in silenzio, la propria battaglia privata.
Fuori le mura della stanza, oltre il cortile del reparto, sopra l’intera città, le nuvole coprono tutto. C’è buio e silenzio, ma Alba sa che prima o poi anche per lei le notti diventeranno serene e i cieli stellati.

Tommaso Merati
© Credits immagini: Courtesy Alba Toninelli