Durante Alighieri, detto Dante, poeta vate per eccellenza, padre della lingua italiana e genio letterario, scompariva 700 anni fa lasciandoci un’eredità incomparabile rispetto a qualsiasi altro autore della tradizione italiana.
Nato a Firenze nel 1265, vive una vita all’insegna della cultura e dell’impegno politico schierato dalla parte dei guelfi bianchi, fattore che lo destinerà all’esilio nel 1302.
Tra gli avvenimenti più importanti all’interno della vita del poeta non si può non citare l’incontro con Beatrice Portinari, musa e donna al centro delle sue raccolte poetiche, presenza angelica che eleva l’animo e guida scelta da Dante nel suo viaggio in Paradiso.

Questa figura femminile è sempre stata avvolta da una sorta di mistero: alcuni critici letterari sono arrivati a sollevare seri dubbi sull’effettiva esistenza della donna. A seguito di alcune analisi sulle opere dantesche ci sono state nuove interpretazioni della figura di Beatrice che la vedrebbero come un’incarnazione della Conoscenza, della quale Dante aveva una sete implacabile.
Vi sono effettivamente degli elementi ad alto contenuto simbolico attorno agli incontri con la donna, anche a livello numerico: Dante la incontra per la prima volta a nove anni, e dopo questo primo incontro non la vede per altri nove anni. Il numero nove non è casuale: il poeta era un grande studioso del simbolismo dei numeri e quest’ultimo in particolare ha il significato di ‘miracolo’.
Ciò su cui si basa questa teoria ha delle fondamenta: nove anni è l’età in cui il poeta inizia a compiere i primi studi letterari, e sembrerebbe essere un’età troppo infantile per provare sentimenti così grandi nei confronti di una bambina. Altro aspetto particolare risiede nel non incontrare la ragazza per altri nove anni, in una città piccola come Firenze in cui all’epoca si conoscevano tutti; inoltre, l’unica figlia femmina di Dante in età adulta realizza il sogno di farsi suora, scegliendo come nome proprio suor Beatrice.

Il lettore ricorderà anche il celebre episodio in cui Dante perde il saluto dell’amata e questo genera in lui un sentimento di grande sconforto. Quel momento della vita del poeta viene letto come un momento di forte perdizione, nel quale lui non si sentiva più degno del compito di alto letterato che aveva svolto fino a quel momento poiché aveva perso di vista il valore della conoscenza, mettendo il vizio davanti alla virtù. Questo potrebbe essere un altro elemento simbolico di Beatrice-Conoscenza.
Se ad oggi queste interpretazioni rimangono solo delle teorie, non è in dubbio che Dante abbia messo la conoscenza al primo posto nel corso della sua vita: in campo politico come vediamo nella sua opera De Monarchia, in campo linguistico analizzato nel De vulgari eloquentia, e in continui scambi con grandi personalità dell’epoca raccolti nelle Epistole.
Forse la più grande eredità del poeta è proprio questa: ci ha insegnato e testimoniato attraverso le sue opere che fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
Carola Aghemo