Biennale Democrazia è una manifestazione culturale promossa dalla Città di Torino e realizzata dalla Fondazione per la Cultura Torino.
Tenutasi quest’anno dal 6 al 10 ottobre, il suo obiettivo principale è quello di diffondere una cultura della democrazia accessibile a tutti, con una particolare attenzione ai giovani.
La Biennale si sostanzia in un continuum di attività culturali – ad esempio all’interno di istituti scolastici o workshop tematici – che culmina ogni due anni nei cinque giorni dell’edizione pubblica. Dibattiti, lezioni, letture e seminari sono solo alcune delle proposte di queste giornate culturali alle quali non manca nemmeno una componente di performance artistiche. Protagonisti di queste attività sono esponenti della cultura nazionale e internazionale provenienti da diversi ambiti: dalla politica alle scienze scienze sociali, dall’economia al giornalismo.
A rendere coesa questa serie di eventi è una tematica centrale, quest’anno ben riassunta nel titolo dell’edizione: Un pianeta, molti mondi.
Apparteniamo a un contesto globale, a un pianeta, dal quale dipendiamo ampiamente, ma non possiamo fare a meno dei legami personali che intessiamo nella nostra piccola realtà, una delle tante che compongono la realtà globale: «Abitiamo la stessa terra, ma apparteniamo a mondi diversi».
Il periodo pandemico ha reso evidente questo dualismo più che mai. Biennale ha quindi proposto nei suoi eventi questi interrogativi: come trovare soluzioni comuni a problemi di ‘molti mondi’? Può la democrazia fare da guida in questo processo? Quali sono le questioni cruciali da risolvere?
Un esempio concreto di questo complesso rapporto ‘un pianeta-molti mondi’ è la questione ecologica, al centro di molte delle attività presentate la settimana scorsa nel contesto di Biennale. Ho avuto l’occasione di seguire due interessanti dibattiti nei quali si è discusso di questa tematica.

Transizione ecologica e vulnerabilità sociale
Mario Calderini, professore ordinario presso il Politecnico di Milano, ha discusso con Vitaliano D’Angerio riguardo l’accesa questione della transizione ecologica e, soprattutto, dei costi sociali ad essa connessi. Non solo il cambiamento climatico stesso, ma anche le politiche che dovrebbero attutirne gli effetti, sono una rischiosa causa di disuguaglianze sociali che non possono essere tralasciate. La riconversione di industrie o l’aumento di prezzo di materie prime che ormai scarseggiano o danneggiano esageratamente l’ambiente, sono solo alcuni generali esempi di cause che potrebbero scatenare un disagio sociale non indifferente. Come operare quindi una transizione ecologica più democratica?
Durante il dibattito sono emerse alcune proposte, da un maggiore investimento nel settore terziario a una maggiore attenzione nella formazione, ma l’interrogativo di Calderini sul complesso rapporto globale-particolare, politico-umano, necessario-sofferenza, rimane aperto.
Mondi fuori controllo
Thomas Hylland Eriksen, importante antropologo sociale norvegese, ha invece dialogato con Adriano Favole riguardo il rallentamento che la pandemia ha imposto al nostro ‘mondo fuori controllo’. Un rallentamento non tanto da un punto di vista ambientale, come si auspicava, quanto più da un punto di vista umano. Per Eriksen, meno viaggi e convegni in giro per il mondo, meno strette di mano, meno condivisione in maniera fisica. Più distanza, più mondo digitale, più globalizzazione, più (apparente) comodità. In fin dei conti, una lezione principale: le cose più importanti nella vita sono le più neutre per l’ambiente e per l’economia/soldi; la ‘conviviality’ è ciò che realmente ci è mancato e che umanamente ci serve. Senza perdere di vista l’urgenza di un cambio di rotta verso una sempre maggiore e globale sostenibilità, Eriksen ha voluto sottolineare come a tutti noi di ‘molti mondi’ diversi la pandemia abbia fatto comprendere l’importanza della semplicità del contatto umano.
Cecilia Verri
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