Berthe Morisot, Mary Cassatt, Tamara de Lempicka e Barbara Kruger: quattro grandi artiste, quattro donne che con forte spirito di intraprendenza, coraggio e passione hanno esternato il proprio lato creativo, non solo lasciandoci delle opere d’arte, ma anche rendendo fertile il terreno per la nascita dei movimenti femministi del Novecento.
Berthe Morisot e la prima mostra degli impressionisti
15 aprile 1874, presso lo studio fotografico di Nadar si tiene la prima mostra degli impressionisti. 165 quadri esposti a opera di trenta artisti tra i quali Claude Monet, Camille Pisarro, Alfred Sisley, Paul Cézanne… Spicca il nome di Berthe Morisot.
Era stato Edgar Degas a volere Morisot: in contrasto alla misoginia tipica degli artisti e intellettuali suoi contemporanei, scrisse alla madre di Berthe «ci sono fra i venti e i venticinque di noi e stiamo aspettando che alcuni altri si uniscano… troviamo che il nome e il talento di Berthe Morisot siano semplicemente troppo importanti per noi per essere in grado di farcela senza di lei».
Berthe accettò la richiesta, del tutto inconsueta per l’epoca. Alle donne non era permesso esporre le loro opere: la pittura doveva essere solo un passatempo svolto al riparo delle mura domestiche; tela e cavalletto andavano nascosti alla presenza di eventuali ospiti.
Morisot invece ebbe la fortuna di avere uno studio tutto suo, una cosa normalmente considerata ‘da uomini’: un piccolo importante passo verso l’emancipazione femminile.
Inoltre, Berthe dopo il matrimonio non prese il cognome del marito, Édouard Manet, ma mantenne il proprio, a cui era ormai legata la sua identità artistica: una scelta rarissima per l’epoca e una testimonianza sia di grande indipendenza, sia di rispetto da parte di Manet nei confronti della professionalità della moglie.
Sul piano artistico Berthe ribalta gli stereotipi di una tradizione pittorica quasi millenaria: ne è un esempio il suo dipinto La balia Angele mentre allatta Julie in cui ritrae la sua bimba in braccio alla balia. L’opera è una rivisitazione implicita e innovativa dell’iconografia della Madonna col bambino, sia perché viene rappresentata una bambina e non un bambino, sia perché a tenerla in braccio non è la madre, ma una donna che lavora per quella famiglia in base a relazioni sociali ed economiche e non in base a relazioni basate sul concetto di sacralità.

Mary Cassatt: un’americana a Parigi
Uno dei grandi problemi per le aspiranti artiste a inizio Novecento era il difficoltoso se non impossibile accesso all’Accademia, dove acquisire le tecniche e lo status di professioniste.
In Gran Bretagna solo alcuni corsi vengono aperti alle ragazze, in Germania solo dal 1919 le donne possono frequentare l’Accademia, mentre in Francia le donne sono ammesse in Accademia ma in classi separate da quelle maschili, in modo tale che queste frequentassero corsi di nudo solo con modelle e modelli parzialmente svestiti. Queste classi erano frequentate soprattutto da americane, le più anticonformiste tra le straniere che ogni anno raggiungevano Parigi per studiare pittura e arte, e tra queste vi è Mary Cassatt.
Cassatt ha saputo farsi strada nella società artistica Parigina incarnando i valori della donna indipendente del diciannovesimo secolo. I suoi quadri ritraggono donne umili, casalinghe, rappresentanti la quotidianità. L’artista descrive l’intimità e i legami dell’affetto materno sotto una prospettiva non idealizzata dal punto di vista religioso; rappresenta quello che è il ruolo affidato alla donna all’interno di una società patriarcale: il ruolo di madre. Cassatt si rifà a una concezione di femminismo ‘essenzialista’: gli uomini e le donne presentano delle attitudini diverse e per affermarsi in quanto tali le donne non devono imitare gli uomini, ma coltivare dei domini di diversa espressione.
Nel 1904 riceve la Legion d’onore e viene nominata presidente onorario dell’Art League, associazione americana a supporto degli studenti americani a Parigi. L’artista accetta l’incarico soprattutto per sostenere le giovani artiste donne, a loro dedica conferenze e crea, a sue spese, borse di studio per permettere loro di conoscere gli artisti francesi del Sei e Settecento.
Infine, è grazie a Mary Cassatt che tante tele di Manet, Degar, Monet, Renoir e Cézanne si trovano oggi negli Stati Uniti: durante la sua permanenza parigina ha ospitato vari amici collezionisti e dietro suo consiglio Louisine Havemayer creò una delle prime grandi collezioni di pittura impressionista oltreoceano, donata poi al Metropolitan Museum of Arts.

Il femminismo avanza in automobile e con i primi meme della Storia
Spostandoci avanti nel tempo, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, ci sono le opere di Tamara De Limpicka, pittrice polacca tra i principali esponenti dell’Art Deco.
Il suo celebre Autoritratto sulla Bugatti verde è emblema dell’emancipazione femminile, dell’indipendenza della donna, potente e seducente, libera di guidare e sfrecciare ovunque desideri, grazie a un’automobile, oggetto-emblema degli anni Venti, necessario a una donna per sentirsi moderna. A tal proposito la scrittrice Juliette Bruno-Ruby afferma «L’auto è il simbolo della liberazione della donna che ha fatto, per rompere le sue catene, molto più di tutte le campagne femministe e le bombe delle suffragette. Dal giorno in cui ha preso in mano il volante, Eva è diventata uguale ad Adamo».

Barbara Kruger invece affronta l’idea del concetto di donna diffuso nella società moderna.
In We have received orders not to move, rappresenta la donna subordinata, da parete e messa su sfondo per rimarcare il suo ruolo marginale, con lo scopo di smuovere le coscienze e generare movimento. Più esplicito sul piano politico, è il famoso slogan Your body is a battleground (‘il tuo corpo è un campo di battaglia’ N.d.T.), realizzato per la marcia delle donne a Washington D.C. nel 1989 a favore dell’aborto e del diritto delle donne di gestire il proprio corpo.
Con Super rich, ultra gorgeous, extra skinny, forever young e Not stupid enough – un primo piano del volto di Marylin Monroe, circondato da scritte come Not good enough, Not ironic enough, Not skinny enough, not nothing enough – l’artista denuncia i pesanti e irraggiungibili canoni estetici che gravano sulle donne circa il dover essere sempre giovane, bella, magra…




Barbara Kruger ha anticipato una tematica di particolare rilievo dell’era del digitale: realizzando i primi meme della storia, ha creato il messaggio breve, non per scopi pubblicitari, ma per senso di moralità. La brevità dei suoi caratteri associata a un’immagine rispetta i canoni della narrazione contemporanea e a tal proposito l’artista ha raccontato che parlare di femminismo senza l’utilizzo delle immagini è inutile: bisogna fare uso di un’altra forma di bellezza per screditare quella standardizzata, in modo tale da poter mostrare ogni diverso volto femminile e coglierne la sua bellezza.
Marta Federico
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