Gabriel Josè de la Concordia Garcìa Màrquez nacque il 6 marzo 1927 ad Aracataca, in Colombia, e morì nel 2014 a Città del Messico. Illustre scrittore della lingua spagnola nonché vitale esponente del realismo magico, fu anche un importante giornalista e saggista, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1982.
Primogenito dei sedici figli del telegrafista Gabriel Eligio Basilio García e della chiaroveggente Luisa Santiaga Márquez Iguarán, durante la gioventù si trasferì a Riohacha, dove venne cresciuto dai nonni materni. Questi furono figure fondamentali nella sua infanzia, in particolare la nonna, una grande conoscitrice di fiabe e leggende locali.
Nel ’37, in seguito alla morte del nonno avvenuta l’anno precedente, si trasferì a Barranquilla per studiare, e sempre qui nel ’46 si diplomò al Colegio Liceo de Zipaquirà.
Nove anni dopo si spostò a Bogotà per studiare legge, ma non terminò gli studi a causa del poco interesse che lo legava alla giurisprudenza.


La sua carriera giornalistica iniziò intorno agli Anni Cinquanta e lo portò a viaggiare molto, non solo per la Colombia ma anche in Europa, prima come redattore e in seguito come reporter e critico cinematografico.
Lavorò per l’agenzia cubana Prensa Latina, che da Bogotà lo portò nel ’61 a vivere a New York, dove la CIA cominciò a sorvegliarlo a causa della sua amicizia con Fidel Castro. Di conseguenza si trasferì in Messico con la moglie e il figlio Rodrigo. Qui iniziò a dedicarsi interamente all’attività letteraria – ma il primo esordio risale al ’55 con Foglie Morte – prendendosi poi nel ‘73 una pausa di un paio di anni dalla scrittura creativa per dedicarsi al giornalismo sul campo, come segno di protesta per il colpo di stato cileno del generale Augusto Pinochet.
La sua opera più importante è senza dubbio Cent’anni di solitudine, pubblicata nel ’67, capolavoro letterario nonché votato nel 2007 durante il IV Congresso internazionale della Lingua Spagnola come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solamente dal Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes.
Il romanzo, dalla trama molto complessa, narra la storia della famiglia Buendia a Macondo attraverso diverse generazioni. Ricca di riferimenti alla cultura Sudamericana, l’opera è considerata la massima espressione del realismo magico; ad essa si ispireranno Isabel Allende e Paulo Coelho.

Tra le poesie più famose, datata intorno al ’99, c’è La Marioneta de trapo, legata a una serie di polemiche su chi l’avesse composta tra Garcia Màrquez e John Welch, altro scrittore di origine messicana.
Nel 2000 un’intervista affermò che Garcia Màrquez ne avesse rifiutato la paternità, ma in seguito molte altre fonti confermarono che la poesia fosse opera dell’autore.
La Marioneta è una lettera da parte dello scrittore che si immedesima nelle sembianze di una bambola di pezza, che osserva l’essere umano e desidera poter vivere allo stesso modo, sognando le cose più semplici della vita che sono allo stesso tempo quelle che racchiudono la felicità più grande.
Il potere di queste parole si cela dietro alla banalità dei desideri della marionetta, che non potendo avere una vita umana ne contempla i gesti più quotidiani e li descrive come qualcosa di magico che racchiude felicità e bellezza e fa riflettere su cosa nella vita si dovrebbe desiderare prima del successo: guardare il mondo e la vita come un fatto straordinario.
Forse mai come nel 2020 ci siamo accorti di quanto gli aspetti più belli della vita siano quelli ordinari: un pranzo dai nonni, un caffè con gli amici, un concerto, un abbraccio.
L’augurio più grande che possiamo farci per il prossimo anno è di riavere indietro la vita di prima, resa ancora più speciale dal fatto che la guarderemo con occhi nuovi.
La Marioneta de trapo Si por un instante dios se olvidara de que soy una marioneta de trapo y me regalara un trozo de vida, posiblemente no diría todo lo que pienso, pero en definitiva pensaría todo lo que digo. Daría valor a las cosas, no por lo que valen, sino por lo que significan. Dormiría poco, soñaría más, entiendo que por cada minuto que cerramos los ojos, perdemos sesenta segundos de luz. Andaría cuando los demás se detienen, despertaría cuando los demás duermen. Escucharía cuando los demás hablan, y cómo disfrutaría de un buen helado de chocolate! Si dios me obsequiara un trozo de vida, vestiría sencillo, me tiraría de bruces al sol, dejando descubierto, no solamente mi cuerpo sino mi alma. Dios mío, si yo tuviera un corazón, escribiría mi odio sobre el hielo, y esperaría a que saliera el sol. Pintaría con un sueño de van gogh sobre las estrellas un poema de benedetti, y una canción de serrat sería la serenata que les ofrecería a la luna. Regaría con mis lágrimas las rosas, para sentir el dolor de sus espinas, y el encarnado beso de sus pétalos… dios mío, si yo tuviera un trozo de vida… no dejaría pasar un solo día sin decirle a la gente que quiero, que la quiero. Convencería a cada mujer o hombre de que son mis favoritos y viviría enamorado del amor. A los hombres les probaría cuán equivocados están al pensar que dejan de enamorarse cuando envejecen, sin saber que envejecen cuando dejan de enamorarse! A un niño le daría alas, pero le dejaría que él solo aprendiese a volar. A los viejos les enseñaría que la muerte no llega con la vejez, sino con el olvido. Tantas cosas he aprendido de ustedes, los hombres… he aprendido que todo el mundo quiere vivir en la cima de la montaña, sin saber que la verdadera felicidad está en la forma de subir la escarpada. He aprendido que cuando un recién nacido aprieta con su pequeño puño, por vez primera, el dedo de su padre, lo tiene atrapado por siempre. He aprendido que un hombre sólo tiene derecho a mirar a otro hacia abajo, cuando ha de ayudarle a levantarse. Son tantas cosas las que he podido aprender de ustedes, pero realmente de mucho no habrán de servir, porque cuando me guarden dentro de esa maleta, infelizmente me estaré muriendo.” Gabriel Garcìa Màrquez | La Marionetta di pezza Se per un istante dio dimenticasse che sono una marionetta di pezza e mi regalasse un brandello di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, però in definitiva penserei tutto quello che dico. Darei valore alle cose, non per quel che valgono, bensì per quello che significano. Dormirei poco, sognerei di più, comprendo che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce. Avanzerei quando gli altri si fermano, sarei desto quando gli altri dormono. Ascolterei quando gli altri parlano, e come gusterei un buon gelato al cioccolato! Se dio mi donasse un poco di vita, vestirei in modo semplice, mi stenderei al sole, lasciando scoperto, non soltanto il mio corpo ma la mia anima. Mio dio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio, e aspetterei il sorgere del sole. Dipingerei con un sogno di van gogh sulle stelle un poema di benedetti, e una canzone di serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna. Innaffierei con le mie lacrime le rose per sentire il dolore delle loro spine, e l’incarnato bacio dei suoi petali… mio dio, se io avessi un pezzetto di vita… non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che la amo. Convincerei ogni donna o uomo che sono i miei preferiti e vivrei innamorato dell’amore. Agli uomini proverei quanto sbagliano quando pensano che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi!. A un bambino darei le ali, però lascerei che imparasse da solo a volare. Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la perdita degli affetti. Tante cose ho imparato da voi, gli uomini… ho imparato che il mondo intero vuol vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel modo di salire la china. Ho imparato che quando un bimbo appena nato stringe col suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo mantiene afferrato per sempre. Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare un altro dall’alto, solo quando deve aiutarlo ad alzarsi. Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, però realmente non serviranno a molto, perché quando mi metteranno dentro quella cassa, infelicemente starò morendo. Gabriel Garcìa Màrquez |
Carola Aghemo