‘La prima donna che…’: le questioni di genere passano anche attraverso la comunicazione

La prima donna vicepresidente degli Stati Uniti, la prima donna che va sulla Luna, la prima donna che vince il Nobel, la prima donna rettrice di un ateneo, la prima donna che… 

Il tetto di cristallo, l’insieme di barriere che si frappone come un invisibile ostacolo insormontabile al conseguimento della parità dei diritti, si è ormai frantumato: il tempo presente sta conoscendo ‘prime donne’ che ricoprono ruoli di prim’ordine. È un fatto che negli ultimi tempi molti ruoli, un tempo ricoperti da uomini, siano stati raggiunti da donne. Se questo è vero resta comunque drammatica la situazione delle tante donne che si trovano sul pavimento del palazzo di cristallo: i dati aggiornati dei femminicidi e delle violenze sulle donne rimangono sempre impressionanti.

Ma chi sono le ‘prime donne’? Facciamo qualche esempio.

Jacinta Ardern, per la seconda volta primo ministro della Nuova Zelanda, esprime in sé un cambiamento sociale: lo ha dimostrato con la dichiarazione dello stato di emergenza climatica e con la nomina di Nanaia Mahuta, prima donna maori a rivestire il ruolo di ministro degli esteri. E come non pensare alle figure di Kamala Harris e di Svetlana Tikhanovskaya, candidata presidente e leader dell’opposizione bielorussa contro il presidente Lukashenko. E poi il ruolo fondamentale della donna nelle proteste in Polonia e in Cile. [ne parliamo qui]

Tuttavia, se da una parte si comincia finalmente a parlare delle conquiste di donne emergenti, dall’altra queste rimangono ancora invisibili, anche a causa del modo in cui vengono raccontate. Se si tratta di donne non si parla tanto di quello che dicono ma dei loro atteggiamenti, dei vestiti scelti, della tonalità di voce più o meno emotiva. I media si soffermano sul nuovo taglio di capelli di Theresa May, sul completo poco femminile di Angela Merkel paragonato agli eleganti vestiti di Christine Lagarde, sul rossetto troppo acceso e provocante di Alexandria Ocasio-Cortez; sulle lacrime in pubblico di Elsa Fornero e di Teresa Bellanova. Sembra banale ma, una volta notato, è impressionante leggere come in alcuni titoli i media parlino genericamente di ‘una donna’. Ai giornalisti viene spontaneo chiedere alle donne cosa significhi per loro rivestire un ruolo importante e impegnativo, quale sia stato il loro percorso e quanto faticoso sia stato raggiungere una carica così prestigiosa, conciliando vita privata e vita professionale. E alla fine soprannomi come Astrosamantha sono sintomo di questa narrazione. Analoghi neologismi di questo tipo non sono stati mai rivolti a uomini, d’altronde, a Luca Parmitano o a Paolo Nespoli non è stato chiesto come abbiano conciliato il loro ruolo di padre con la propria vita personale. 

Questo meccanismo di comunicazione è problematico e serve per depotenziare. Per farlo esistono varie tecniche: non definire le donne con il proprio titolo, sminuendo la loro professione (signorina e non dottoressa, architetta, biologa); chiamare per nome invece che per cognome, togliendo loro una identità caratterizzante (‘Biden e Kamala eletti negli Usa’: ma chi è Kamala, è forse la cugina d’America?) arrivare a non nominarne neanche il nome (‘Una donna rettrice alla Sapienza di Roma’), rendendo totalmente invisibile il personaggio di cui si sta parlando. 

Notiamo come la presenza di donne ai vertici sia sicuramente un segnale di cambiamento che porta anche un’attenzione maggiore alla disuguaglianza di genere. La maggiore presenza delle donne alla Corte costituzionale ha già fatto registrare un primo importante risultato: il riconoscimento del diritto di trasmettere ai figli il cognome anche della madre accanto a quello del padre. 

Tuttavia il riconoscimento del ruolo della donna passa anche attraverso l’attenzione comunicativa. È fondamentale che si cambi la retorica della donna, riconoscendone le qualità professionali piuttosto che sottolinearne quelle fisiche e personali proprio perché donna. Esplicativa può essere la dichiarazione di Sanna Marin, prima ministra finlandese e la più giovane al mondo: «Non ho mai pensato alla mia età o al mio genere, penso alle ragioni per cui sono entrata in politica e alle cose per le quali abbiamo conquistato la fiducia dell’elettorato».

Marta Schiavone

© Credit immagini: link + link + link + link + link + link

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