Le paure che abbiamo definiscono chi siamo meglio di tanti sogni.
In una striscia di Zerocalcare due amici s’incontrano dopo tanto tempo.
Entrambi sono accompagnati dalle loro paure. Una ha le sembianze di un goffo armadillo, l’altra è un incubo nero, impressionante, tracciato con righe nette e compulsive.
I due amici si stringono forte. Come se le loro vite, da quelle estati passate al mare, non fossero cambiate così tanto.
Per una sera, le due paure rimangono entrambe fuori dalla camera, come in punizione.
In Puoi ancora i Sick Tamburo invitano a fare i conti con la paura.
Di ogni tipo.
La paura del futuro.
La paura della morte; di stare male; che stia male qualcuno a cui vogliamo bene.
L’armadillo e l’incubo.
Non è un caso che l’album da cui è tratto il pezzo si chiami Paura e l’amore.
Proprio come per i due amici nella storia di Zerocalcare, la paura destabilizza (sei nuda in questa città) e l’amore dà la forza per provare ad accettare anche ciò che non capiamo o che non possiamo controllare.
Tienimi stretto come sai tu, così, così. – Non so dirti cosa c’è.
La malattia. Un amico che non c’è più.
I sogni che non si realizzano e, magari, non si realizzeranno.
Non sarà più come allora, lo so, lo so.
Ma puoi divertirti ancora con me, con me.
Mentre tutto attorno il mondo sembra indifferente, i Sick Tamburo cantano della parola di conforto o dell’abbraccio caloroso.
Della frase incerta pronunciata a mezza voce da chi, in buona fede, invita a convivere con quella paura, consapevole che non è possibile farla sparire.
Che cosa c’è dentro te; che non vuoi lasciare?
Non usa parole ‘giuste’. A volte quelle non esistono nemmeno.
Ci sprona, invece, a contenere quella paura per non renderla un incubo e trasformarla, quando sarà il momento, in spunto e motivazione.
Stefano Cavassa
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