«No al dolore, Giorgio!» aveva esclamato Alda.
Nella sua auto-distruzione interiore non aveva tenuto in conto che quanto si può non dire, si può dire scuro. Nella rivoluzione del suo caos non aveva considerato che invece quanto può dirsi si può dire chiaro. Quando diede fuoco al suo io più visibile, nel punto preciso delle coordinate temporali, ci fu la rivoluzione.
Non parlo di quella francese o di quella industriale, niente a che vedere con quella di Ottobre o con quella che portò a un drastico cambiamento negli usi e costumi delle italiane. La sua minigonna è la poesia. Il suo urlo sono i fogli bianchi, le righe tirate su versi maldestri, il suo essere poetessa e il mio essere poeta: la sua rovina.
Aveva urlato per anni e nessuno l’aveva ascoltata, aveva ripetutamente esclamato richieste d’aiuto e non era mai stata vista. Figurarsi amata. Come amare tra le mura? L’amore lo odiava. L’amore la odiava, pensava Alda. L’amore incendia tutto ciò che Madre Natura con passione e cura fa nascere. Non toglie il dolore. L’amore lo genera. Fa in pezzi le aspettative, le certezze e quella fottuta speranza di rimanere giovani e belle in eterno.
La rivoluzione – la decostruzione delle mie zolle più recondite – toglie il dolore.
Ho conosciuto Alda una sera d’inizio estate. “I miei sogni d’anarchia” iniziavano a farsi vivi e tangibili. I miei pensieri raccontati al vento diventavano realtà. Verità nascoste che Alda con la sua irruzione mi ha tirato dritto in faccia. I nostri discorsi mai seri, le sigarette fumate innumerevoli e gli accendini persi non si possono neanche contare. Non mi ha lasciato scritto niente, quando se n’è andata.
Ora, sano le mie ferite con la rivoluzione, come canta Rino.
Ora, nella sua assenza il tutto si riduce alla nostra prima forma di vita: la parola.
Federica Mangano
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.”
Alda Merini
Un amore folle. Alda Merini e Giorgio Manganelli

