Solidarietà abitativa a persone senza fissa dimora: il modello Housing First Italia

Associazione di solidarietà sociale per persone in emergenza abitativa, fio.PSD – (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora) lavora da anni sul territorio nazionale a supporto di chi vive in strada o di persone in situazioni di marginalità.

Si tratta di una realtà che coinvolge 16 regioni italiane e che impegna il 35% delle sue attività nell’Housing First, un modello sviluppato negli USA negli Anni Novanta e che ha riscontrato un notevole successo nel «risolvere la condizione di senza dimora di persone con disagio multi-fattoriale» (filopsd.org). Il paradigma prevede interventi personalizzati che ribadiscano la centralità della persona, nel tentativo di accompagnare con costanza e fiducia gli utenti nel proprio percorso di indipendenza.

Michele, Communication Officer di fio.PSD, conosce il modello per la prima volta nel 2001 a Copenhagen quando ha modo di partecipare per conto dell’Associazione «al primo meeting dell’Housing First Steering Group, [dove] ebbi modo di ascoltare Sam Tsemberis (‘inventore’ del modello HF)». A distanza di qualche anno, sono 50 le organizzazioni impegnate per conto di fio.PSD in un biennio di formazione che evolverà il modello consolidandone la versione italiana che conosciamo oggi.

Oltre all’accesso a una fissa dimora e alla messa a punto di condizioni ottimali di vita, l’approccio Housing First si impegna a prevedere «un ambiente supportato, intimo e sicuro, promuovere la riduzione del danno e offrire un accompagnamento per tutto il tempo necessario» (filopsd.org). Gli enti che, condividendone l’etica e attenendovisi, decidono di aderire a questa rete con continuità, non sono abbandonate a loro stesse, ma sottoposte a monitoraggi periodici da parte di «un Comitato Scientifico coordinato da fio.PSD per studiare le caratteristiche e le dinamiche dell’Housing First in Italia» (filopsd.org).

Seppur non abbia avuto modo di sperimentarlo in prima persona nel ruolo di utente, ma solo tramite le attività di comunicazione di cui è responsabile per conto della Federazione, Michele ci racconta che «tra il 2014 e il 2019 vi sono state diverse […] valutazioni e raccolte di dati che indiscutibilmente mostrano la qualità ed efficacia del modello». 

Quando gli chiedo dei pregiudizi legati alle persone senza fissa dimora, mi risponde che ne esistono in Italia, che però «in gran parte sono stati creati da una narrazione erronea e spesso strumentale costruita dai media». Da ‘barboni’ a ‘clochard’, una «terminologia che cambia a seconda del taglio giornalistico». La stigmatizzazione di persone il cui «termine giusto è uno solo: ‘senza dimora’». Ed è unicamente ripartendo dalla loro centralità di soggetti che si può pensare di supportarne lo sviluppo integrale come persone prima e cittadini poi nelle democrazie di oggi.

Gaia Bugamelli

© Credit immagini: link

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