Siamo nel mezzo di una crisi climatica: questa non è esattamente una buona notizia. Ci troviamo, sempre più spesso, a confrontarci con fenomeni impressionanti, più grandi di noi, di fronte ai quali, come singoli cittadini e cittadine, ci sentiamo disarmati. Ci mettiamo d’impegno, riflettiamo sui nostri consumi, mangiamo più verdura e usiamo più spesso la bicicletta, ma i nostri piccoli passi continuano a sembrarci troppo pochi, troppo insignificanti, perché non accompagnati da un cambiamento collettivo.
Eppure il movimento internazionale Earth Hour è nato proprio così, grazie a un piccolo gesto quotidiano: spegnere la luce. Era il 2007, il WWF insieme ad alcuni partner locali, coinvolse la città di Sydney e il popolo australiano in un evento simbolico: lo spegnimento di tutte le luci artificiali per un’ora in tutto il paese, con l’obiettivo di spingere il governo a prendere provvedimenti riguardo gli effetti del cambiamento climatico. Oltre 2 milioni di persone aderirono all’iniziativa. Adesso, Earth Hour è uno dei più grandi movimenti internazionali per l’ambiente e conta sostenitori in più di 190 paesi. Ogni anno il movimento replica l’iniziativa avviata a Sydney: alle 20.30 dell’ultimo sabato di marzo, milioni di luci si spengono per tenere alta l’attenzione sul futuro del Pianeta.

L’iniziativa, dal 2007 ad oggi, è andata oltre gli eventi annuali, prendendo parte a campagne di sensibilizzazione e azioni concrete in ogni angolo del mondo. Grazie alle campagne Earth Hour, è stato possibile istituire un’area marina protetta di 3.4 milioni di ettari in Argentina, bandire l’utilizzo dei sacchetti di plastica nelle Isole Galapagos e istituire dei regolamenti di contrasto alla deforestazione in Uganda.
Tra pochi giorni, sabato 26 marzo, si svolgerà l’edizione 2022: visitando il sito è possibile prendere parte all’iniziativa e aiutare a diffonderla sul proprio territorio. Earth Hour è una chiara dimostrazione del potere dell’azione collettiva: da un piccolo gesto, un movimento globale che ha a cuore il futuro della nostra casa comune.
Silvia D’Ambrosio
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