Paboy Bojang: questo non è un racconto di moda

Se sul piano visivo è possibile notare una bellissima combinazione di colori e sul piano tattile si percepisce il tessuto, guardando più attentamente, usando non gli occhi, ma quel barlume di bontà e fierezza interni nel nostro animo, allora saremo in grado di vedere che quelle magistrali cuciture non sono solo sinonimo di una piccola impresa artigianale, o di gusto e passione per l’arredamento, ma anche una questione di Riscatto. 

Paboy Bojang all’età di tredici anni, inizia a lavorare nella sartoria dello zio a Serekunda (Gambia), ma dopo ventidue anni passati sotto una brutale dittatura, decide di partire alla ricerca di fortuna. 

«Essendo il fratello maggiore è normale che la mia famiglia facesse affidamento su di me»

Il suo viaggio non è facile: dopo due anni trascorsi tra il Deserto e il Mar Mediterraneo, finalmente, nel 2015 approda a Lampedusa. In quello stesso anno, su un pullman diretto a Milano sceglie di scendere a Napoli, vivendo per due anni in un campo profughi, dove nel frattempo trova lavoro presso l’Antica Manifattura di Stingo. Verso la fine del 2019 arriva la disoccupazione, a causa di ritardi per il rinnovo del permesso di soggiorno e, come se ciò non bastasse, segue il periodo di lockdown, portando Paboy a un grande senso di frustrazione. 

Per affrontare questo suo malessere e affrontare al meglio questa situazione, decide di continuare nell’attività che più gli riesce meglio: comincia a confezionare federe di cuscini con stoffe prese in prestito dalla sua coinquilina e, in seguito, pubblica i suoi lavori su Instagram.

Nel giro di un anno la sua attività cresce, e di conseguenza coglie l’occasione per offrire lavoro a chi ne ha bisogno, cercando anche di fare da portavoce per i migranti a Napoli, facendo capire loro che non hanno bisogno di condurre un’esistenza all’insegna della paura e della miseria, ma possono riscattarsi, costruire un futuro brillante e indipendente utilizzando la propria creatività e immaginazione

Assieme a Paboy lavorano anche Ebraim, originario del Ghana, e Blessed, originario della Nigeria, anche loro con un passato affine a quello di Paboy:

«Fin dall’inizio sognavo di poter impiegare emigrati come me ed è così che l’azienda crescerà. Alcuni hanno talenti che rischiano di andare sprecati. Spero questa diventi anche per loro l’occasione di lanciare un’attività in proprio.»

Ciò che è particolarmente apprezzato nei suoi cuscini è l’aspetto non solo estetico, ma anche etico: di recente Paboy e la sua compagnia, hanno preso parte al progetto Project Earth for Communities, un progetto green label rivolto ai marchi che si prendono cura degli esseri umani che lavorano dietro a un prodotto, confezionati con una retribuzione equa e condizioni di lavoro eque

Marta Federico

© Credit immagini: link + link

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