Revibe: il marketplace di upcycling per designer indipendenti

Dal desiderio di 4 amici di Vicenza di promuovere un cambiamento positivo durante la pandemia, prende vita Revibe, marketplace dedicato alla moda upcycling nato «dalla volontà di utilizzare le nostre expertise per qualcosa di utile per la società» – racconta Ettore, direttore comunicazione di una realtà che conta ad oggi più di 700 prodotti acquistabili e 50 designer in 7 Paesi. 

Si tratta di uno spazio di commercializzazione virtuale di prodotti unici e molto diversi tra loro, nonché di una community di designer da tutta Europa, alla ricerca di una vetrina espositiva distante dalle logiche del consumismo fast fashion e attenta all’ambiente.

Diversamente dal re-cycling, che implica l’utilizzo di processi chimici, i capi di abbigliamento upcycled prevedono il ricorso a «materiali di seconda mano, scarti di produzione, o stock invenduto di altri brand nella creazione di nuovi prodotti».

In un mondo dove sempre più alta è la richiesta di prodotti realizzati nel rispetto delle persone e dell’ambiente, «[con Revibe] stiamo cercando di creare un ecosistema in cui questa scelta di andare verso l’upcycling e il sostenibile sia una scelta non solo determinata da marketing, ma di business»

Revibe nasce nel tentativo di colmare i limiti sperimentati da consumatori e designer del fashion. Alla lamentata mancanza di trasparenza circa il processo di produzione dei capi acquistati, si somma la registrata mancanza, da parte dei designer, di un mercato unitario online di seconda mano. A fronte delle barriere sperimentate da entrambi i lati della filiera, Revibe propone un modello economico basato su una community di designer e la possibilità, per i consumatori, di acquistare online prodotti sostenibili realizzati in trasparenza.

È una community virtuale che riunisce artisti indipendenti associati a un nuovo modo di ‘fare moda’. Quelli su Revibe «sono piccoli brand che stanno iniziando a entrare nel mondo della moda [upcycled]». Per Ettore, si tratta di un modo di democratizzare l’industria del fashion: «Ci piace poter dare una possibilità a brand che farebbero altrimenti fatica a trovare uno spazio per entrare nel mondo della moda».

L’originalità di Revibe risiede anche nella varietà dei prodotti: texture, forme e stili di ogni genere, perché frutto delle idee di artisti provenienti da diversi Paesi e con uno stile tutto loro. A rendere l’esperimento unico nel suo genere è il connubio di unicità e irriproducibilità. A differenza di altri e-commerce di moda, Revibe offre ai propri utenti la possibilità di personalizzare e pre-ordinare un capo. Un’esperienza nuova in un mondo dominato da una produzione su larga scala, che di rado lascia spazio alla personalizzazione di un capo d’abbigliamento. «Sul nostro sito c’è la possibilità di preordinare un capo che non esiste, magari realizzato una volta per uno shooting e se un cliente lo richiede può […] dare le misure in cui vuole il capo e […] il designer lo produce». In questo modo, i pezzi acquistati saranno unici, ma riproducibili nel tempo a seconda della domanda di mercato.

Quando gli domando delle difficoltà incontrate finora, Ettore mi risponde che ad oggi non esiste un quality check fisico. «Molte realtà di marketplace come la nostra si fanno spedire i capi nelle loro sedi per inviarli ai clienti, in modo che venga fatto un quality check, ma per noi è uno spreco, ci sono delle emissioni di CO₂ troppo grosse, quindi cerchiamo di fare meno trasporto possibili di merci». I controlli vengono fatti interamente online, richiedendo ai designer foto dei prodotti finiti e imballati.

Coscienti dell’impossibilità di stare a galla in un mondo, quello della moda, dove è indispensabile assecondare la logica madre del profitto, gli ideatori di Revibe tentano di dimostrare come sostenibilità, upcycling e creatività non si oppongano necessariamente all’imperativo del guadagno, ma possano declinarsi nella forma di termini guida per un mercato più etico e sostenibile.

Gaia Bugamelli

© Credits immagini: Courtesy Revibe

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