«Dov’è uno spazio in cui possiamo riunirci?» è la domanda che si è posto Troy Onyango, studente kenyota durante i suoi studi in scrittura creativa in Inghilterra. Da questa domanda è nata Lolwe, rivista letteraria lanciata nel 2020 da Onyango stesso per pubblicare opere di persone nere provenienti dall’Africa e da tutto il mondo. La rivista pubblica opere di fiction, saggistica, poesia e fotografia da più di venti paesi. Alcuni racconti pubblicati su Lolwe, che in lingua Luo significa Lago Vittoria, il lago nel Kenya occidentale, sono stati anche selezionati per importanti premi e riconoscimenti internazionali: «Le selezioni sono una vittoria, significa che stiamo facendo un buon lavoro. Con il giusto sostegno, altre collaborazioni possono aiutare la nostra letteratura a crescere» – afferma Onyango.

In tutta l’Africa stanno emergendo riviste letterarie dirette da giovani scrittori e artisti che collaborano per superare le barriere geografiche usando Internet e i social media per raggiungere un pubblico più ampio. Questi nuovi progetti stanno perseguendo gli ideali portati avanti da realtà come Transition, Kwani? o Johannesburg Review of Books, nate per dare forma all’Africa post-indipendenza, trampolino di lancio per molti narratori africani. I nomi delle riviste a volte possono sorprendere i lettori e gli editori mondiali. Per esempio Doek! si riferisce a un pezzo di stoffa in lingua afrikaans, nome che era stato scelto in modo da collegare immediatamente il progetto a qualcosa di familiare – la stoffa – «per presentare la letteratura come qualcosa di visibile e accessibile», ma è anche un gioco di parole che richiama il nome della capitale della Namibia, Windhoek.
Le riviste sono spazi che danno visibilità a forme d’arte che vanno oltre alla scrittura e che lasciano spazio ad argomenti che non riceverebbero abbastanza attenzione nelle pubblicazioni del mondo occidentale, come racconti di danze rituali, saggi sulle donne in Senegal, Costa d’Avorio e Burkina Faso i cui mariti sono emigrati in Europa, fotografie di denuncia dei luoghi di lavoro.
Gli editori delle riviste emergenti «sono meno condizionati dall’idea di dover dare l’impressione di una identità rispettabile dell’Africa post-indipendenza», dice lo scrittore e poeta ghanese Nii Ayikwei Parkes, e questo permette loro «di essere più progressisti, più radicali, più aperti e più sovversivi». Questo stile di scrittura e questa morale stanno attirando molti giovani scrittori, artisti e lettori africani, che si identificano in loro. Tuttavia le nuove riviste affrontano continuamente difficoltà economiche, poiché dipendono da donazioni individuali. Il giornalista James Murua, curatore di un blog che si dedica alla scena letteraria africana, è però convinto che la nuova generazione di rivista farà da apripista e incoraggerà giovani africani alla lettura e alla scrittura. Come dice uno dei fondatori della rivista Doek!, Ngamije, «stiamo compiendo dei piccoli passi in questa maratona letteraria, dobbiamo lottare di continuo contro la sensazione di essere in ritardo, di occupare l’ultimo posto».

Segno evidente che la letteratura africana si sta facendo avanti anche nel panorama occidentale è la vittoria del Premio Nobel per la Letteratura 2021 assegnato al romanziere Abdulrazak Gurnah, il quinto africano a vincere il prestigioso premio. Gurnah è nato nel 1948 a Zanzibar, in Tanzania, per poi scappare nel Regno Unito alla fine degli Anni Sessanta per il sistema politico repressivo del tempo. «Quando me ne sono andato» – ha raccontato in un’intervista – «era un posto molto pericoloso. La gente veniva imprigionata. C’era pochissimo spazio di manovra, per le persone, per lavorare, per avere successo, o anche per discutere e parlare apertamente del proprio malcontento». Questa parte della storia del suo Paese è stata descritta nel romanzo By the Sea. Gli eventi storici sono sempre filtrati attraverso le esperienze individuali e i suoi romanzi raccontano spesso dei viaggi delle persone emigrate nel Regno Unito.
Tra le ragioni che lo hanno portato alla vittoria del premio si sottolinea «la sua intransigente e compassionevole capacità di comprensione degli effetti del colonialismo e del destino dei rifugiati nel divario tra culture e continenti».
Marta Schiavone