Raccontare l’Africa

Angelica è un’attrice e videomaker torinese. Negli ultimi due anni si è ritrovata a vivere esperienze incredibili prima attraverso un’esperienza nel campo profughi Hamdallaye in Niger, e poi a Dakar (Senegal) dopo la nascita di sua figlia Heidi.

Il rapporto con il videomaking

«Ho sempre voluto fare l’attrice: ho studiato recitazione e ho fatto molto teatro. È stato lì che mi sono subito avvicinata al mondo della ripresa, stando davanti alla telecamera. 

Filmare è nato come una necessità, grazie alle bellissime esperienze ‘cinematografiche’ che ho vissuto. La prima cosa che ho girato era un misto tra finzione e documentario, ma per ora, visti i mezzi, ho scelto un genere più documentaristico. Investo molto tempo ed energie nel conoscere a fondo quello che sto filmando: penso che sia irrispettoso ‘appropriarsi’ delle storie degli altri senza veramente conoscerle.»

In Niger, parte 1 

«In Niger organizzavo corsi di teatro – con una certa fatica, perché la costanza era poca – a cui partecipavano soprattutto donne e bambini. Durante quell’esperienza mi sono avvicinata molto alla fotografia, avendo a disposizione tantissimi soggetti che mostravano grande entusiasmo nel venire fotografati. Bisogna considerare che laggiù tutti hanno un telefono e vivono di immagini, passando gran parte del loro tempo tra video musicali su Instagram o Tik tok. Il contesto poco stimolante non aiuta (e nemmeno le temperature estremamente elevate), eppure ci si organizza al meglio per offrire loro attività di supporto.

Il Niger è uno dei pochi stati africani che accolgono rifugiati. È un paese desertico, molto caldo, dove l’80% della popolazione vive ancora in capanne di paglia, spesso sommerse di plastica. [il Niger ha un problema enorme con la plastica, ci sono discariche ovunque, NdR]. Sono inoltre molto credenti: le donne portano il velo e il fulcro della loro vita è la preghiera.

Il campo di Hamdallaye è situato a pochi chilometri da Niamey, la capitale, ed è organizzato in sei aree, divise per nazionalità. I rifugiati ospiti arrivano soprattutto da paesi come Somalia, Sudan, Eritrea, Etiopia. 

Sono persone emotivamente molto scosse, che hanno vissuto situazioni drammatiche: molti di loro hanno vissuto gli orrori dei centri di detenzione libici. La permanenza al campo, durante la quale vengono prodotti i documenti, dovrebbe essere breve (dai tre ai sei mesi), ma può estendersi fino a uno/due anni. Vengono stilate delle graduatorie che assegnano la priorità a chi fugge da paesi in guerra, mirate a un futuro reinserimento in paesi terzi. Ad Hamdallaye ci si prodiga molto a fornire loro supporto psicologico e medico, oltre che attività ricreative.

Nonostante queste persone arrivino da situazioni drammatiche, vivono sempre con allegria, sorridono, con una leggerezza che noi occidentali non possiamo comprendere. Sono assolutamente meravigliosi nella loro semplicità. Non importa se parliamo lingue diverse, ci si riesce a capire in qualche modo. Una volta che ti conoscono, si aprono e ti raccontano qualsiasi cosa

Parte 2: Il Senegal 

«Il Senegal è una realtà diversissima. Io e Marco, mio marito, ci siamo trasferiti nella capitale Dakar, una città dove vivono moltissimi stranieri. Dakar è una città cantiere, in continuo fermento, molto diversa dalle altre città africane che ho visto. È un paese sul mare, molto più ricco per via delle attività commerciali. 

Per caso, tramite un annuncio, ho scoperto un piccolo villaggio africano a nord della città, dove ci siamo traferiti circa tre mesi dopo il nostro arrivo in Senegal e dove ben presto ho fatto amicizia con tutte le maman locali, che parlano solo in wolof (pochi parlano francese). Immersi in un contesto incontaminato, gli abitanti del villaggio sono pescatori: gli uomini durante il giorno pescano mentre le donne si occupano di pulire, cucinare e vendere il pesce. 

Il Senegal è un paese musulmano, ma molto meno estremista rispetto ad altri stati come il Niger, dove le donne non portano il velo. È un paese dove si pratica la poligamia (ove ce lo si può permettere), che è socialmente accettata [se sei una brava moglie, accetti che tuo marito abbia altre mogli, NdR]. Tuttavia, questioni come l’omosessualità invece non vengono nemmeno concepite. Un aspetto molto curioso del Senegal è la ricerca di evasione notturna. A Dakar ad esempio, moltissime persone si ‘trasformano’, sfidando di notte quello che non possono fare alla luce del giorno.

I Senegalesi hanno una fortissima dimensione spirituale. Sono innanzitutto molto superstiziosi. Ho potuto assistere ad alcuni riti di purificazione: sono delle cerimonie che servono a liberare una persona dagli spiriti che causano dei problemi, attraverso un rito che prevede cavalcare una mucca, che poi viene uccisa e mangiata. Ho potuto solo filmare da lontano, ma sono poi stata coinvolta per filmare la gente che danzava. A organizzarli sono di solito famiglie, durano diversi giorni, e coinvolgono tutto il villaggio: oltre all’aspetto religioso c’è la dimostrazione di potere e ricchezza. 

Molto diverso da noi è il loro approccio alla vita e alla morte, tant’è vero che ho scambiato dei funerali con dei battesimi, vedendo gente che cantava e danzava! Quando muore qualcuno segue una settimana di preparazione, che si conclude con un rito sulla spiaggia dove vengono allestiti dei gazebo con musici e dove si balla e canta. È un vero e proprio rito di accompagnamento, che qui in occidente abbiamo perso

In Senegal il giorno di festa si mangia il pollo, mentre si mangia quotidianamente tantissimo pesce. Non ne ho ancora capito il motivo, ma donne e uomini mangiano separati, e con le mani. Noi occidentali non ne siamo capaci, abbiamo perso la manualità. Loro usano una mano (sinistra, perché l’altra è impura). In Senegal si mangia da grandi piatti condivisi con almeno sei persone.

Vivere la maternità in Africa è un’esperienza molto bella. Impari che si può essere molto poveri, puoi dare il nulla e farlo benissimo. I bambini africani sono molto liberi, giocano tutto il giorno e sono spensierati.»

Elena Galleani d’Agliano

Puoi seguire Angelica sul suo sito e su instagram

© Credit immagini: Courtesy Angelica d’Ettorre

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