Corinto e le compagne nella casa

L’impatto con Corinto è una casa composta da una dozzina di voci allegre e squillanti. A volte, capirò in seguito, anche comprensibilmente stanche, dunque sottotono, sfuggenti. È un meccanismo che a chiamarlo macchina ti dispiace pure perché ne sottolineeresti l’aspetto meccanico, quando per te tutte queste persone che si coordinano secondo regole non scritte, parole non dette, ti sembrano quanto di più naturale possibile. Un organismo che evolve, guarisce, si assesta. Hai a malapena il tempo di capire dove sei situata e invece adesso sei a cena, sei nella conversazione, beh forse neanche tanto, sei nella frenesia, nell’equilibrio, nel bilanciamento di una casa che funziona, funziona, qui ci sono le lenzuola, le coperte mettine a strati che fa freddo, tieniti anche un pile che non si sa mai e buonanotte. La prima sera ti addormenti stordito e la mattina dopo ho ancora il sapore del caffè in bocca, mentre le persone che animano questa casa iniziano a svegliarsi: chi in punta di piedi, chi già baldanzoso. La colazione è una turnazione festosa intorno a una tavola che ci accoglie tutti, un arco di tempo dilatato, scandito da chi legge, da chi prepara il pranzo ascoltando il podcast della mattina, da chi – ancora decisamente troppo assonnato – ha soltanto il tempo di trangugiare rapidamente delle fette biscottate e attingere dalla caffettiera comune posta al centro della tavola. A pochi minuti dalla partenza regna ancora un caos che non lascia ben sperare, ti fa storcere la testa. Vedendoci da fuori mi chiedo come sia possibile che quattordici persone, non sempre le stesse, riescano infine a sfangarla, coordinandosi ogni mattina. Anche questo meccanismo, che non ha mai smesso di affascinarmi, lo comprenderò soltanto dopo. 

Al lavoro si può andare in macchina, un piccolo van a nove posti che più o meno tutti impariamo a guidare, o a piedi. In questi due mesi e mezzo ho percorso il tragitto che separa casa dal Community Center quasi tutte le mattine a piedi. Il freddo gelido di febbraio ha lentamente lasciato spazio a un marzo più tiepido, a un aprile inaffidabile. Alcune di noi sono diventate irriducibili della camminata mattutina, altre si sono turnate, altre ancora occasionalmente raccattate all’ultimo istante. La confidenza ci ha permesso di capire quando avremmo voluto semplicemente starcene in disparte, assorte nei nostri pensieri, preservando quel momento della giornata per noi stesse o quando al contrario avremmo voluto condividere con le nostre compagne di strada i dubbi che si accavallavano, le riflessioni che avevamo maturato. Costeggiamo il mare e ci confrontiamo su come è andata la giornata precedente. Ci confessiamo cosa ci spaventa e cosa ci rende vulnerabili. D’altronde è una combinazione rara. Le persone con cui lavori sono anche quelle con cui vivi. Un’occasione irripetibile, che ti porta a ben sviscerare tutto quello che vi capita.  

Il primo giorno è pura osservazione. È cercare di imitare ciò che le altre fanno. Sono le parole rassicuranti di chi sembra che faccia questo lavoro da sempre, quando a differenziarvi sono forse solo due settimane. Ma impari in fretta. Vi passate il testimone. Ciascuna si prende cura dei nuovi volontari. Ti stranisce pensare di essere stata tu l’ultima solo qualche giorno prima. Ma sono delle distinzioni che si riveleranno effimere. Tutte impariamo presto a ballare. E non smetterà mai di incuriosirmi come ogni volontaria con cui ho convissuto sia stata capace di farsi strada, integrandosi, osservando entusiasta le dinamiche di questo mondo in miniatura.

Elsa Rizzo

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