La battaglia per i diritti degli individui LGBT in Uganda è ben conosciuta, ma forse quello che è meno noto è il fatto che la popolazione del Paese è nettamente divisa in due gruppi: da un lato la comunità LGBTIQ+ e i suoi sostenitori, dall’altro gli omotransfobici che, purtroppo, costituiscono la maggior parte della popolazione ugandese. È forse inessenziale indicare da che parte stia il governo, che promulga leggi per emarginare e dissolvere questa minoranza.
Centinaia di persone sospettate omosessuali sono state identificate e la foto della loro faccia è stata pubblicata sui principali tabloid nazionali. Immaginate, ora, essere una madre e una mattina come tutte le altre riconoscere il volto di vostro figlio o vostra figlia tra quelli dei ricercati in prima pagina.
La pubblicazione dei profili di queste persone è un silente assenso alla loro condanna e soppressione violenta, anche supportata dalla nuova legge che prevede pene pesantissime – si parla di fino a 10 anni di carcere – non solo per il “dichiarato o tentato comportamento omosessuale’’, ma anche per chi supporta o difende queste persone, che nella maggior parte dei casi sono le famiglie, gli amici e i genitori delle vittime.

Per questo è nata la PFLAG Uganda, Parent and Families of Lesbians and Gays: è un gruppo di supporto per le famiglie degli individui LGBTIQ+, che ha come scopo quello di creare uno spazio sicuro in cui i genitori possano riunirsi con altri che si trovano nella stessa situazione, in cui possano fare domande e avere conversazioni che normalmente non oserebbero proporre.
La fondatrice del gruppo si chiama Claire Beerus Gaba, attivista LGBT ugandese, una delle persone assediate e perseguitate dai quotidiani locali, che ha fatto del suo spirito di denuncia e del suo coraggio un’arma impugnabile da migliaia di persone crudelmente oppresse.
Beatrice Basso
Credits immagini: The Wall Street Journal, Luce!