ACMOS: forme di vita comunitaria e solidale nel territorio torinese. 

Uno studio Eurostat del 2021 rivela che il 75,1% della popolazione italiana possiede una casa di proprietà, rispetto a una media UE del 70%. Molti paesi dell’Est Europa si collocano in posizioni più alte, tuttavia è evidente come in Italia la cultura della casa di proprietà risulti essere ancora molto radicata, sicuramente residuo del secondo dopoguerra ma non solo. 

Studio Eurostat 2021 sulla percentuale di persone che possiedono o affittano una casa di proprietà. 

La tematica è sviluppata in maniera interessante da Sarah Gainsforth in Abitare stanca, opera che viene snocciolata in un interessante dialogo con Radio Città Aperta. Partendo dalla propria storia familiare, l’autrice ripercorre le tappe della costruzione e della diffusione di massa della proprietà abitativa. Nel contesto britannico, da cui proviene la madre, la deindustrializzazione portò a una progressiva privatizzazione, tanto delle aziende quanto delle abitazioni. Se la prima portò a proteste dei lavoratori, la seconda fu la soluzione del governo per metterle a tacere: possedere un’abitazione divenne la nuova fonte di benessere accessibile a tutti. Conseguenza di questo processo fu il progressivo abbandono delle case popolari.

Fenomeni simili accaddero -con tempi e modalità diverse- nella maggior parte dei paesi europei, dove l’edilizia residenziale pubblica venne gradualmente presa di mira e rappresentata come simbolo di degrado dalla classe politica. L’emarginazione e la stigmatizzazione di chi ci vive sono le conseguenze ancora attuali della colpevolizzazione dell’architettura.

Questo è stato il punto di partenza della mia chiacchierata con Riccardo Bruno, volontario di Acmos ed ex inquilino di una delle comunità dell’associazione. Acmos si presenta come un’associazione apartitica e aconfessionale, che promuove l’inclusione e la partecipazione attiva dei giovani alla democrazia. Cardine di questi principi e obiettivi è la vita comunitaria, che prende diverse forme sul territorio torinese. Differenti comunità figlie però di una stessa idea: condividere spazio e tempo, andando oltre la dimensione individualistica, assaporando la collettività e non solo la convivenza. In questo modo si cresce come adulti e cittadini attivi. 

Ciò che differenzia nel concreto i progetti abitativi sono gli spazi e quindi le forme con cui la vita comunitaria prende vita. Una prima tipologia sono le coabitazioni solidali: forme comunitarie di abitare che portano ogni anno gruppi di giovani a convivere in appartamenti all’interno di case popolari. Si intessono relazioni coi vicini e col territorio circostante, oltre che all’interno della casa, fatte di condivisione di momenti come feste o aperitivi, ma anche di aiuto e manutenzione dell’edificio. A Torino le principali coabitazioni solidali sono quattro: Filo Continuo, Tessitori, Sorgente e Synporto. Condividendo spazi e dando una mano alla collettività, gli inquilini possono godere di un affitto calmierato, che permette di abbattere i costi dell’abitare con la scelta e la condivisione dei consumi. E’ questo un esempio di riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica, di ridimensionamento dello stigma annoso che la definisce come luogo di emarginazione o degrado. 

Altro progetto comunitario è Casa acmos, che nasce in Barriera di Milano, ex quartiere operaio di Torino da sempre oggetto di una nomea infelice. La comunità qui sorge in un’ex fabbrica di pneumatici, la CEAT, ora dimora di un gruppo di animatori che, con ricambio annuale o biennale, organizza attività ed eventi. Se nelle coabitazioni solidali la rete si intesse con gli altri condomini, qui lo si fa con persone ed enti del territorio circostante.

In entrambe le forme di vivere in comunità, un pilastro che le rende funzionali è la scelta e la sobrietà dei consumi, orientata a condividere e spendere meno, sia a livello economico che a livello ambientale. Ciò è possibile anche grazie ai GAS: gruppi di acquisto solidale che permettono di acquistare in grandi quantità alimenti direttamente da produttori che garantiscono una filiera equa. A questi prodotti spesso si aggiunge anche l’invenduto dei supermercati della zona, creando cassette alimentari complete e accessibili.

Vivere insieme può anche significare scontro, che però nel contesto di Acmos viene promosso come occasione per educarsi alla risoluzione nonviolenta dei conflitti. Si tratta di un altro caposaldo dell’associazione che, attraverso l’educazione alla cittadinanza, alimenta molti progetti per i giovani sul territorio. 

Cecilia Verri


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