Questa storia comincia in Canada, in British Columbia. A Telegraph Cove vive Paul Spong, neuroscienziato ed esperto di cetacei, che da 40 anni studia le Orche a Hanson Island. Qui, con la moglie Elena, monitora e riconosce i gruppi di orche che ogni estate tornano in questo arcipelago del Pacifico. Le conosce e riconosce tutte, grazie ai loro segni corporei, alle diverse forme delle pinne dorsali e alle varie famiglie, nuclei in cui le orche vivono per tutta la vita.


I vocalizzi delle orche sono la colonna sonora di quest’isola, registrata di giorno e di notte dai volontari. Gli idrofoni e le telecamere, posizionati sott’acqua in un’area di 50 km2, permettono di ascoltarle costantemente, in un ambiente totalmente naturale e rispettando l’equilibrio biologico. I suoni sono amplificati in ogni angolo dell’isola, in modo tale che le orche siano costantemente monitorate. Questo sistema serve per riconoscere quelle che passano dall’arcipelago e per studiare i loro comportamenti e le interazioni tra i simili.
Per questi animali è essenziale socializzare e stare in gruppo. Devono stare in contatto tra loro per non perdersi e per trovare da mangiare. I vocalizzi si trasformano in un’eco che rimanda loro un’informazione per localizzare i banchi di pesci che dopo esser stata ricevuta, viene condivisa con i membri della famiglia.

In questo arcipelago canadese, in cui le orche vivono in libertà e armonia con la natura, è stata catturata a soli tre anni l’orca Corky. Ogni volta che la sua famiglia passa per Hanson Island, è impossibile non pensare che Corky abbia passato 47 anni della sua vita separata dai suoi simili, per lavorare nel parco acquatico SeaWorld di San Diego. Se un’orca in cattività vivesse nel parco acquatico più grande al mondo, avrebbe comunque a disposizione solo l’1% dello spazio di cui naturalmente usufruirebbe. Corky è costretta a nuotare in circolo tutto il giorno, in una soluzione di acqua e cloro, e a mangiare solo dopo essersi esibita. Proprio per lei Paul Spong e i suoi colleghi vogliono costruire un santuario a Port Hilford Bay dove è stata catturata quando era piccola.
Nel 2020 è iniziata la progettazione di una barriera subacquea, che permetterà a Corky di nuotare in un grande spazio, nelle sue acque di casa. Inoltre, la sua famiglia passerà da lì ogni anno, così potrebbe ritrovarli e comunicare con loro. L’unico grande ostacolo è la difficile comunicazione con i proprietari di Corky, che ancora oggi rifiutano di restituire la vita a un’orca che ha fatto guadagnare loro milioni di dollari.
Il fatto che in Canada, in Islanda, in Italia e in molti altri arcipelaghi si stiano costruendo questi santuari per cetacei è il segnale di un’inversione di tendenza, che nasce dalla diminuzione delle presenze nei parchi acquatici e da una maggiore sensibilità dell’uomo nei confronti degli animali e della natura.
Beatrice Basso
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