Se ne stavano lì, immobili e coperte da un manto che avrebbe dovuto preservarle dalle intemperie invernali, ma che altro non faceva che nascondere la loro bellezza, intristendole.
I restauratori ci avevano messo troppo impegno per riuscire a ritrovare quel bianco marmoreo che era stato coperto dal passare del tempo; era inaccettabile l’idea di lasciare al degrado tutto quel lavoro, anche se per farlo bisognava coprire il risultato finale.
Languide e silenziose, tre statue se ne stavano immobili sotto il peso di quel telo che a malapena accennava le loro forme. Una corda circondava il telo che copriva ogni statua, per impedire che quest’ultimo se ne andasse con la prima folata di vento. Ma era quello stesso vento ad alimentare i sospiri delle tre statue che, sconsolate, attendevano il momento in cui il sole avrebbe potuto posarsi sulle loro superfici liscissime.
Come poteva tutta quella maestosità venire sottratta alla vista dei visitatori? Qual era dunque il senso della loro esistenza, se non potevano essere esposte, ammirate? Alle tre statue era stata sottratta la loro essenza e ogni minuto di quel freddo inverno diventava un insieme di infiniti pesanti secondi in cui quel maledetto telo aveva privato le statue di significato.
Un elefante! Aveva detto un bambino, puntando col dito la statua a sinistra.
Un dragone! Aveva pensato un altro bambino, cercando di indovinare cosa si celasse sotto quel manto.
Una coppia di innamorati! Aveva supposto una coppia di amanti, parlando della statua in mezzo.
Che affronto tutte quelle speculazioni sulla presunta forma delle statue coperte. Come se non fosse già abbastanza umiliante sapere di non poter essere contemplate.
Forse ogni passante ci vedeva quello che ci voleva vedere, come avviene spesso per tutte le cose del mondo. Qualcuno non ci vedeva niente. Altri neanche le notavano.
Poi, un giorno, avvenne l’impensabile. Le statue, seppur coperte, si sentirono osservate. Uno sguardo si era posato su di loro, senza l’intento di comprendere cosa ci fosse sotto il telo. Quello sguardo voleva solo guardare le statue e il telo che le avvolgeva. L’insieme. Qualcosa in quelle tre sagome informi chiamava a essere contemplato, immortalato.
Click.
Una macchina fotografica aveva catturato, in un nanosecondo, la maestosa malinconia delle tre meraviglie nascoste.
Mishel Mantilla
© Credit immagini: Courtesy Chiara Beretta Poulain