Preferisci ascoltare la notizia? Trovi il podcast in fondo all’articolo!
Solar Chernobyl e New Safe Confinement: sono queste due strategie messe in atto per riportare speranza e contrastare le radiazioni all’interno della ‘Zona di Alienazione’, porzione di territorio compresa tra Ucraina e Bielorussia nel raggio di circa 30 km dal sito dell’ex-centrale nucleare di Chernobyl.
Il Solar Chernobyl è un progetto inaugurato nel 2013 e si tratta della prima centrale solare in Ucraina, posta a soli 100 metri dal famigerato reattore numero 4 e si compone di oltre 3700 pannelli solari disposti su 1,6 ettari di terreno. Più recente è la struttura del New Safe Confinement, inaugurata nel luglio del 2019, alta 110 metri e dal peso di 36.200 tonnellate, che dovrebbe limitare le fughe radioattive per circa cento anni. Come spiega Julia Marusich, ingegnere presso la sezione di Comunicazione Internazionale alla centrale di Chernobyl «Questo è un passo molto importante, ma non conclusivo. L’obiettivo è delimitare le conseguenze dell’incidente e minimizzare i rischi, che ancora ci sono, tenerli sotto controllo».
Il lavoro dell’uomo sul territorio di Chernobyl è quello di contrastare le radiazioni per renderlo nuovamente abitabile, dunque ricreare un ambiente favorevole per le condizioni di vita della specie umana.
Ma se quel territorio non potrà essere abitato per i prossimi 24.000 anni dagli esseri umani, per quanto riguarda la vita animale la situazione è molto differente.
Uno studio dell’università di Portsmouth ha svelato che la zona di esclusione attorno a Chernobyl prolifera di vita selvaggia, quali lupi, alci, cervi, cinghiali e altri grossi mammiferi, come a voler dimostrare che «in assenza dell’uomo, la natura fiorisce, persino dopo il peggior incidente nucleare al mondo» come afferma Jim Smith, ricercatore dell’università di Portsmouth che ha partecipato alla ricerca. Egli spiega anche che «è molto probabile che oggi il numero di animali selvatici che abita la zona di Chernobyl sia molto superiore a quello presente prima del disastro. Questo ovviamente non vuol dire che le radiazioni abbiano un effetto positivo sugli animali, ma solo che l’impatto delle attività umane, come la caccia, le coltivazioni e la raccolta di legna è anche peggiore».
La scomparsa dei pesticidi, gas di scarico, traffico e di altri mezzi di inquinamento hanno migliorato la qualità dell’ambiente, spiegando come sia possibile, e allo stesso tempo incredibile, il ripopolamento della fauna selvatica.
Naturalmente gli studi hanno anche rilevato gli effetti negativi delle radiazioni, ma a livello individuale: alcuni insetti sembrano avere una durata di vita più breve e sono più colpiti dai parassiti nelle aree ad alta radiazione, alcuni uccelli hanno livelli elevati di albinismo, alterazioni fisiologiche e genetiche quando vivono in località contaminate. Per quanto riguarda mammiferi di grandi dimensioni, la loro vita è comunque troppo breve per consentire lo sviluppo di cellule tumorali; d’altra parte, gli animali si riproducono molto rapidamente rispetto a noi esseri umani e, in assenza di vita umana, ristabiliscono l’equilibrio intaccato da morti premature, ma questi effetti non sembrano comunque influenzare il mantenimento della popolazione della fauna nell’area.
Si tratta di un fatto quasi impossibile da credere reale, ma è così: nonostante il continuo sfruttamento del territorio che ci circonda, costruendo giganti strutture in cemento, rilasciando rifiuti tossici nei fiumi e nei laghi e attentando alla vita del polmone verde del pianeta Terra, prima o poi bisogna fare i conti con la Natura, capire che a questo mondo siamo solo ospiti e, in quanto ospiti, siamo solo esseri di passaggio, mentre Madre Natura si riprende ciò che è suo, anche dopo un disastro nucleare.
Marta Federico
© Credit immagini: link