«L’Africa del dopo è già qui: creativa, solidale, resiliente». Titola così il quotidiano Le Monde un articolo del 26 aprile 2020.
Verso metà aprile cinquanta pensatori, attivisti, artisti e decisori africani hanno firmato un testo chiamando alla mobilitazione delle “forze vive” contro la pandemia. Riuniti dall’economista togolese Kako Nubuk e il sociologo senegalese Alioune Sall, gli intellettuali africani si sono pronunciati attorno al bisogno di ripensare il mondo dopo la pandemia del Coronavirus.
L’appello – sotto forma di lettera – ha progressivamente aumentato visibilità, passando dall’Africa all’Europa attraverso i social network e i media internazionali. Ora, come scrive Andrea De Georgio su Internazionale, sono più di cento gli intellettuali aderenti a questa iniziativa, tra cui lo scrittore nigeriano Premio Nobel per la Letteratura nel 1986 Wole Soyinka, il filosofo senegalese Souleymane Bachir Diagne e il ghanese Kwame Anthony Appiah.
Analizzando il tono della lettera, emerge immediatamente la convinzione che la crisi non sia soltanto sanitaria ma anche sistemica.
I rischi sul continente africano, relativi alla diffusione di COVID-19, ci sfidano individualmente e collettivamente. La situazione è seria. Non consiste nel fermare un’altra crisi umanitaria ‘africana’, ma nel contenere gli effetti di un virus che sta scuotendo l’ordine del mondo e mettendo in discussione le basi della nostra vita insieme.
La sfida del dopo pandemia secondo gli intellettuali riguarderà gli aspetti securitari e socioeconomici.
Per l’Africa, si tratta di riguadagnare la libertà intellettuale e la capacità di creare senza la quale non è possibile alcuna sovranità. […] È necessario […] riconnettersi con le configurazioni locali, uscire dall’imitazione sterile, adattare la scienza […] e i programmi di ricerca ai nostri contesti storici e sociali, pensare alle nostre istituzioni secondo le nostre singolarità comuni e come dobbiamo pensare alla governance inclusiva, allo sviluppo endogeno, per creare valore in Africa al fine di ridurre la nostra dipendenza sistemica.
A una settimana dall’intervento di Roberto Saviano sul bisogno di declinare la società civile in un’azione politica unita, al termine dell’edizione straordinaria del Salone del Libro di Torino, un’élite culturale si presta a incarnare gli ideali della società civile rivolgendosi direttamente ai dirigenti africani. Una fonte d’ispirazione sempre più forte anche per il resto del mondo.
Intervistato qualche settimana fa su Radio France, il firmatario Premio Nobel africano Wole Soyinka si interroga sull’urgenza di trasmettere questo messaggio collettivo:
«Per me, questo è il momento di chiamare i nostri leader all’ordine, per dire loro: ‘Facciamo in modo che non sia ancora tutto un disastro, otteniamo qualcosa di positivo da questo disordine universale’. In questa lettera che mi è stata inviata, ho immediatamente riconosciuto le stesse preoccupazioni nel contesto di questa epidemia universale, che rappresenta una sfida molto specifica per il continente africano, come vediamo oggi. […]
Bisogna esplorare le possibilità che ci offrono tutti i nostri modi di vivere che abbiamo totalmente trascurato», ritrovando «un vero senso di responsabilità nei confronti del proprio vicinato, come parte di una comunità.»
Pietro Battaglini