Io e Giovanni ci incontriamo all’Esselunga, entrambi ci siamo resi disponibili per fare i volontari temporanei con la Croce Rossa per l’emergenza Covid-19. Durante le sei ore della raccolta alimentare mi racconta cosa fa nella vita e scopro che è il fondatore di MAFRIC.
«Il tutto è nato dopo un anno di servizio civile in Zambia» – inizia a raccontarmi – «dove ho lavorato in una sartoria in cui usavamo stoffe africane per produrre articoli da vendere ai turisti. Quando sono tornato qui in Italia ho pensato di riprodurre l’attività, ovviamente con un fine sociale locale. Mi sono messo in contatto con una sartoria della zona di Milano, dove donne in situazioni di vulnerabilità, soprattutto straniere, imparano a diventare sarte. Con loro abbiamo ideato una linea di accessori e abbigliamento che ha una doppia visione: la prima è quella dell’interculturalità, cioè unire le stoffe dai colori vivaci dell’Africa con lo stile italiano, quindi passare la coltura tramite il fashion; la seconda è unire l’ottimizzazione delle risorse del profit con la visione sociale del no-profit».
Obiettivo?
«Il progetto MAFRIC ha come obiettivo riuscire a coinvolgere nella produzione dell’abbigliamento e degli accessori le micro realtà delle sartorie sociali sul territorio italiano, non solo milanese, che altrimenti avrebbero difficoltà a sostenersi.»
Chi sono?
È un’iniziativa imprenditoriale giovanile: sono infatti tutti ragazzi giovani, la maggior parte amici e conoscenti di Giovanni che hanno collaborato e tutt’oggi collaborano con lui per creare il marchio e portare avanti il progetto. Oggi stanno partecipando a diversi concorsi europei dedicati ai giovani e alla moda per reinventare il mondo della moda prediligendo lo slow fashion al fast-fashion. Giovanni mi racconta che c’è una stilista che disegna i capi, ma spesso e volentieri sono le donne delle sartorie a dare la forma e il tocco originale.
L’impatto?
«Ciò che può trasmettere questo progetto nei giovani è l’idea di business, comunque improntata ad avere un riscontro economico ma che può avere un impatto sociale, quindi promuovere un’economia sostenibile socialmente interessata, e avere un impatto sui lavoratori stessi. Le donne che lavorano nelle sartorie sono tutte molto giovani e tutte mamme, molte sole, e diventa molto importante l’ambito familiare. Infatti, le sartorie sono attive solo la mattina, cosicché al pomeriggio possano dedicarsi ai figli, per i quali la mattina all’interno delle strutture c’è una sorta di asilo.»
Messaggio?
«Quando compri un capo a 2 euro, come una maglietta, forse dietro c’è qualcosa che non va. Perché se si pensa a quanto valore si dà al proprio tempo e al proprio lavoro, forse questo non si rispecchia nel prezzo di ciò che siamo abituati a comprare. Anche all’interno del fashion bisogna avere l’accortezza di rispettare il lavoro altrui e dargli il giusto valore.»
Maddalena Fabbi
Articolo pubblicato anche su WeJournal
© Credit immagini: courtesy MAFRIC