Imparare una lingua può diventare un atto di autodeterminazione, uno spazio di relazione, una forma di resistenza. A Padova LiberaLaParola lo dimostra da oltre vent’anni offrendo corsi gratuiti di italiano all’interno di un percorso collettivo e politico più ampio. Nata nei primi anni Duemila e cresciuta nell’associazione Open Your Borders, propone pratiche orizzontali, antirazziste e decoloniali, ponendo al centro non solo l’insegnamento della lingua ma anche la costruzione di legami solidali e strumenti concreti.
Per approfondire questa realtà abbiamo posto alcune domande cui chi anima la scuola ha risposto collettivamente.

Come nasce LiberaLaParola e a quali bisogni ha cercato di rispondere fin dall’inizio ?
LiberaLaParola nasce a Padova intorno agli anni Duemila. Dal Duemiladiciassette è entrata a far parte della associazione Open Your Borders con l’obiettivo di trasformare la lingua in uno strumento di autodeterminazione, non di esclusione. Oggi offre due percorsi distinti: un corso serale aperto a tutte e tutti presso il CSO Pedro, il lunedì e il giovedì, pensato per chi lavora e fatica a frequentare in altri orari; e un corso dedicato alle persone socializzate donne, attivo il lunedì e il venerdì mattina alla Casa di quartiere Arcella. Quest’ultimo si propone come spazio sicuro e non misto dove, durante le lezioni, è possibile condividere la cura dei figli e delle figlie, ostacolo invisibile alla partecipazione.
In una società che spesso separa e isola come costruite legami?
La costruzione dei legami avviene tramite la creazione di uno spazio di ascolto e dialogo. I rapporti si consolidano nelle lezioni, pensate non come momenti frontali ma come spazi di ascolto, scambio e partecipazione. Alla dimensione didattica si affiancano momenti di socialità collettiva come pranzi comunitari, feste, attività sportive, festival musicali. Questi favoriscono il superamento dell’isolamento e la costruzione di relazioni durature. Significativa è la partecipazione comune a manifestazioni pubbliche, come quelle del 25 Aprile. Per citare altri esempi, nel duemilaventitre un gruppo di studenti ha promosso un presidio davanti alla prefettura all’inizio del conflitto in Sudan; mentre più di recente alcune studentesse greche hanno organizzato una mobilitazione per l’anniversario della strage ferroviaria di Tempe. Come corpo politico organizzato, il nostro obiettivo non è solo quello di coinvolgere le persone che frequentano la scuola nelle nostre iniziative, ma di mettere a disposizione conoscenze, strumenti -anche di tipo logistico- e partecipazione anche per le loro iniziative spontanee.

Quale ruolo assume l’antirazzismo nelle pratiche quotidiane e nella identità della scuola?
Un ruolo centrale. Non si aderisce all’antirazzismo tradizionale che, spesso senza volerlo, perpetua gerarchie attribuendo alle persone bianche il ruolo di portavoce. Si pratica un antirazzismo decoloniale che riconosce i privilegi di chi ha accesso alla lingua, alle risorse e ai diritti. Privilegi non scontati per chi arriva in Italia e non conosce l’italiano. L’obiettivo è costruire relazioni orizzontali che sfidano le asimmetrie. Le lezioni sono dunque non frontali, i materiali didattici autoprodotti e i contenuti condivisi, con lo scopo di trasformare la lingua in uno strumento di espressione, rivendicazione e lotta. Questo approccio sostiene un processo collettivo di consapevolezza politica e culturale che restituisce dignità a chi viene spesso marginalizzato.
Nel linguaggio comune si parla spesso di volontariato: perché per voi è importante rivendicare un’identità politica come attivisti?
Questo accade perché in quanto attivisti e attiviste l’obiettivo non è colmare i vuoti dello stato ma denunciarli e contrastarli. L’insegnamento dell’italiano dovrebbe essere garantito da istituzioni come i CPIA e le cooperative, sistematicamente indebolite da tagli e politiche restrittive. Queste lacune producono esclusione e impediscono alle persone migranti di accedere ai servizi fondamentali e di attivarsi autonomamente. La scuola rappresenta uno degli strumenti messi in campo per rispondere a questo scenario. Insieme a LiberaLaParola, Open Your Borders porta avanti il podcast Words from the world che dà voce agli studenti e lo sportello legale nato come supporto giuridico e divenuto punto di riferimento per bisogni emergenti legati all’evoluzione normativa e sociale.
Come si organizza il lavoro dietro le quinte?
La gestione riflette i principi di partecipazione che guidano tutto il progetto. Le decisioni si prendono in assemblee in cui ogni aspetto può essere discusso e modificato. Questa modalità consente di accogliere nuovi bisogni e proposte, come l’inserimento di temi legati al femminismo e ai diritti del lavoro nelle lezioni. Si aggiunge il lavoro costante di progettazione didattica, formazione, organizzazione dieventi, gestione degli spazi e delle risorse.

Foto di @sherwood_foto
Patrizia Catella