Guardalo. È lì, inerme. Non si capisce se mi senta o no. Chissà che cos’ha? Mi capisce? Immobile.
Ooooh mi senti? Che strano tipo, così giovane. Eppure, da lontano sembrava normale. Guarda com’è vestito, si vede chiaramente da dove arriva. Mah, sono tutti uguali questi ragazzi, persi in giro per le strade. Non hanno una meta, un obiettivo. Io ero diverso, rispondevo quando le persone mi parlavano. Ora hanno tutti le cuffie nelle orecchie, non sentono, non vedono. Dovremmo trovare un nome per chiamarli tutti insieme. Gli sdraiati? I depressi? I vagabondi magari.
Che ne dici tu? Mi senti? Ti va bene se ti chiamiamo così? Poco importa, tanto ormai abbiamo deciso il tuo nome. Sicuramente, se parlassi, saresti uguale a come ti abbiamo immaginato. Noi sappiamo osservare, ce lo hanno insegnato fin da piccoli, a parlare di cose di cui non sappiamo assolutamente nulla. Da quando siamo nati ci sono state messe addosso definizioni senza che noi avessimo voce in capitolo. Era così e basta. Non sappiamo pensare in maniera diversa. Un po’ mi spiace per te, sai. Sei qui da solo, in silenzio. La vita ti passa davanti e tu non le rispondi.
Sono seduto vicino ad un semaforo ad un incrocio. Oggi è stata una giornata intensa. Avevo voglia di riposarmi un attimo e quel punto lì mi sembrava così comodo. Perché non posso sedermi lì? Quanti problemi inutili ci facciamo. Nel mondo ci sono così tante cose a cui pensare e le persone non aspettano altro che un ragazzino qualunque si sieda in un qualunque angolo per additarlo e raccontarsi cosa starà facendo quello strano. E se semplicemente mi fossi seduto qui per guardare meglio il cielo o le macchine che passano veloci in questa sera di fine primavera? Solo per questo sono strano? Devo per forza scrivermi in faccia il motivo per cui mi siedo per strada per tranquillizzare i passanti?
Qualcuno mi sta parlando. Non ho voglia di rispondere, mi sto godendo questa tranquillità. È tutto così diverso da qui in basso, non mi era mai capitato di farci caso. Basta così poco per cambiare completamente prospettiva, sedendomi qui per esempio. Eppure, non lo facciamo mai, di provare a metterci nei panni di qualcos’altro per vedere com’è la vista da lì. Non lo facciamo perché forse non diamo spazio di definizione alle cose, alle persone. Siamo sempre presi a definire noi tutto quello che vediamo. Alle volte sedersi in un punto che proprio ci piace basta per farci chiudere la bocca e respirare, finalmente.
Alzo gli occhi, è ancora lì che parla. Lo guardo.
«Il mio nome lo scelgo io».
A cura di Adele De Pasquale
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