Sally Gabori: il colore della libertà

Non è mai troppo tardi per iniziare a fare una cosa nuova. Nemmeno a ottant’anni. E Sally Gabori – all’anagrafe Mirdidingkingathi Juwarnda -, artista contemporanea australiana appartenente alla cultura aborigena Kaiadilt, ne è la prova lampante. Nasce nel 1925 sull’isola di Bentick, ma inizia la sua carriera d’artista solamente nel 2005; e lo fa con grande convinzione, al punto di raggiungere una fama internazionale. 

Oggi – e fino al 14 maggio – una trentina dei suoi monumentali dipinti sono esposti alla Triennale di Milano, in una mostra che vuole raccontarci la vita e la storia dell’artista e che, al contempo, sembra voglia farci sentire travolti, risucchiati dal colore

La mostra nasce dalla collaborazione tra Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, un’istituzione che da sempre si occupa di mettere in luce l’arte di artisti normalmente poco considerati dai musei e dalle fondazioni istituzionali, come nel caso di Sally Gabori. 

La storia di Sally Gabori è troppo distante dai radar “occidentalo-centrici” e così la sua arte resta fuori dai circuiti museali più noti. Eppure la sua storia, così come la sua arte, è esattamente il tipo di storia che andrebbe raccontata più spesso, dentro e fuori dai musei: Sally appartiene alla comunità Kaiadilt, l’ultima popolazione aborigena australiana ad essere colonizzata dagli europei. La storia di Gabori, e i suoi dipinti con lei, parlano di tematiche delicate e sempre attuali; appropriazione, soprusi e supremazie, tentativi di annientamento culturale. Le sue opere, però, le sue coloratissime opere, raccontano anche una storia di rivincita e di resistenza ai soprusi e alle supremazie; raccontano il desiderio di mostrare come la sua cultura non sia stata schiacciata, ma abbia resistito in tutta la sua energia.

È una voce fuori dal coro quella di Sally Gabori, che a 81 anni inizia a dipingere e lo fa con una tecnica tutta propria, slegata da qualunque tipo di influsso artistico della pittura aborigena contemporanea. I suoi dipinti, apparentemente astratti, sono una celebrazione che l’artista fa degli spazi sconfinati nei quali abitava e ai quali è stata strappata; sono le vaste terre e l’oceano, sono tutti quei luoghi vuoti di esseri umani e pieni di forza naturale. Portando queste immagini su tela, Sally Gabori se ne riappropria e le libera. 

Grazie alla mostra in Triennale, oggi queste opere e questa storia di resistenza e libertà sono anche nostre. Pronte ad essere guardate, ascoltate e comprese, ma soprattutto rispettate. Ed è un regalo meraviglioso.

Barbara Talarico