L’angolo destro del maglione verde continua a sbattere contro il filo dei panni stesi. Il terrazzo del condominio in Via Galilei è deserto la mattina: prima del caffè del Signor Fabri, mentre Giacomo si sveglia e subito dopo la doccia di Elif.
Elif deve stropicciare gli occhi, mentre si infila l’accappatoio azzurro, per evitare che il raggio di luce si insinui sul suo viso.
Rimangono scoperti i seni, lasciati visibili tra i lembi dell’accappatoio azzurro. I capezzoli si induriscono per il gelo che entra dagli spifferi della finestra. Un filo sottile sembra attraversarle la schiena, dalla nuca fin giù, fino alle piante dei piedi. Nonostante la sensazione fastidiosa che la pervade, scosta il lembo destro dell’accappatoio dal sinistro: la distanza necessaria per fare in modo che precipiti giù a terra. Rimane nuda. Spoglia davanti alla finestra. La sua immagine si riflette nello specchio sopra il lavandino del bagno. Deve salire in piedi sul bordo della vasca per guardarsi per intero. Se inclina la testa verso le spalle, prima da una parte e poi dall’altra, osserva le clavicole sporgenti: si toccano con le orecchie morbide. I capelli, ancora bagnati, riempiono il vuoto della sua schiena: si mischiano alla costellazione di nei che ha sempre detestato. Poi se li sposta davanti, ostacolati dalle clavicole sporgenti. Lo sguardo di Elif cambia direzione: si ritrova riflesso due volte. Il suo corpo le si riversa addosso: un’immagine evanescente che si sposta sulle vetrate della finestra del bagno. Il suo monolocale all’ultimo piano è il più vicino al terrazzo e il più lontano dalle finestre delle case degli altri: Giacomo dalla sua stanza non la può vedere; il signor Fabri dal suo appartamento scabro non la può vedere.
Nessuno la può vedere. Solo Elif può vedersi. Solo Elif può guardarsi. Si guarda. Si guarda svariate volte. Nota dettagli che non aveva mai considerato: il bacino storto rispetto all’asse del suo corpo, le ginocchia sporgenti come le sue clavicole e quelle labbra sottili e costantemente screpolate: tanti piccoli taglietti riempiono la superficie della bocca, per il costante gesto che Elif crea stringendole tra i denti. Si guarda ancora, per un tempo indefinibile: vede tutto quello che non ha mai visto. Si guarda e poi si ritrova anche lì: nello scorcio della vetrata della finestra del bagno. Si vede ancora: si vede e poi si guarda per l’ennesima volta, in quella mattina dove il sole sembra ancora non essersi svegliato davvero.
Si guarda ancora e il suo sguardo finisce dritto all’angolo destro del maglione verde, che continua a sbattere contro il filo dei panni stesi. Lo vede: lo vede e poi lo guarda. Lo guarda e il suo sguardo finisce dritto ai suoi capezzoli duri. Li immagina stesi sul filo dei panni in terrazza, non più solo visibili a lei. Urla all’immagine riflessa allo specchio del bagno: “guardatemi tutti!”
Federica Mangano