Irène Némirovsky è una nota scrittrice ucraina di origine ebraiche, ricordata in modo particolare per i suoi romanzi come David Golder e I doni della vita, ma soprattutto per il suo capolavoro Suite Francese, di cui il critico letterario Pietro Citati scrive a riguardo:
“Quando abbiamo finito di leggere le prime due parti di Suite Francese, resta in noi una strana sensazione di letizia. Non sappiano se essa dipenda dalle gioie nascoste sotto le tragedie della vita; o dalla felicità fisica di raccontare senza fine. Il tono volentieri lirico; l’eco melodiosa della frase; la ricchezza delle sensazioni; la bellezza della natura; gli animali quasi umanizzati e la luce del sole a mezzogiorno, al tramonto oppure il chiarore onnipresente della luna si sciolgono e si perdono nella fluidità della vita”

Suite francese è idealmente diviso in cinque parti, cinque volumetti, tutti presenti all’interno di un unico romanzo, ma che Némirovsky non riuscirà mai a concludere perché nell’agosto del 1942 venne deportata ad Auschwitz dove morì di tifo.
Ogni volume ha un titolo: Temporale di giugno, Dolce, Prigionia, Battaglia e La pace.
È bene porre l’attenzione sul secondo volumetto, Dolce: la Francia viene occupata dai soldati nazisti e dunque anche il piccolo paese di campagna Bussy, in cui si svolge la vicenda. Ad ogni ufficiale viene assegnato un alloggio, ovvero la casa dei cittadini. Ed è proprio qui che avviene l’incontro tra Lucile Angellier, giovane ragazza francese, e Bruno Von Falk, giovane ufficiale tedesco.
Tra i due nasce una tenera amicizia, forse in alcuni momenti sembra stiano per innamorarsi l’uno dell’altro, anche se non sono sentimenti d’amore giovanili, ma di speranza: la speranza che questa inutile guerra possa finire, in modo che chiunque possa riabbracciare i propri cari e tornare a vivere una vita dignitosa, anche se in fondo si tratta di una speranza malinconica, perché molte rimarranno vane.
Lucile incarna gli ideali di Irène Némirovsky, basati sulla gentilezza, anche quando il nostro essere interiore vorrebbe solo gridare:
“Mi ha chiesto il permesso di scendere in giardino a cogliere delle fragole. Non potevo rifiutare. Lei dimentica, mamma, che in questo momento il padrone è lui, ahimè… ha conservato i gesti della buona educazione, ma potrebbe prendere quello che gli piace, entrare dove vuole e perfino cacciarci via. Esercita i suoi diritti da conquistatore con modi pieni di riguardo. Non posso fargliene una colpa. Trovo che abbia ragione. Qui non siamo in un campo di battaglia. Possiamo avere dentro tutti i sentimenti che vogliamo, ma perché non essere educati e gentili, almeno esteriormente? C’è qualcosa di disumano in questa situazione. Perché accentuarlo? Non è … non è ragionevole.”
Ma non solo Lucile: il personaggio di Celine, giovane ragazza francese che si innamora di un soldato tedesco, umanizza gli invasori, vede l’uomo che si cela sotto la divisa del soldato:
“E allora? Tedesco o francese, amico o nemico, è prima di tutto un uomo e io sono una donna. E con me è affettuoso, tenero e pieno di attenzioni… è un ragazzo di città ben curato a differenza degli uomini di qui; ha una bella pelle, denti bianchi. Quando bacia ha l’alito fresco, non sa di alcool come i ragazzi di paese. A me basta, non cerco altro. Ci complicano abbastanza la vita con le guerre”
Némirovsky ripudia la guerra, le persone spregevoli, coloro che minacciano la pace e distruggono il Paese in cui vivono. In ogni sua opera ha sempre cercato di esaltare il valore della gentilezza, di chiarire come per ogni situazione c’è un inizio e una fine, che non deve per forza essere un finale triste, perché noi individui possiamo prendere in mano la situazione e agire su di essa. Non dobbiamo lasciarci sopraffare dagli avvenimenti storici, non dobbiamo amalgamarci ad essi, ma vivere assieme a loro e giorno dopo giorno scegliere il nostro destino individuale e nessuno deve avere la sfrontatezza di togliere i nostri sogni e di schernire le nostre idee. Dobbiamo combattere per ciò che crediamo giusto, buono e saggio:
“Essere libera dentro, scegliere la mia strada, seguirla senza dover seguire lo sciame, odio questo spirito comunitario di cui ci riempiono le orecchie. Su una sola cosa tedeschi, francesi e gollisti la pensano allo stesso modo: bisogna vivere, pensare, amare con gli altri, in funzione di uno Stato, di un Paese o di un partito. Oh, mio Dio, non voglio! Sono una povera donna inutile; non so niente, ma voglio essere libera! Schiavi lo diventiamo […] la guerra ci manda qua o là, ci priva del benessere, ci toglie il pane di bocca; mi lascino almeno il diritto di giudicare il mio destino”
Marta Federico