Un tempo si viaggiava con la meraviglia in spalla. Le persone, guardando, si stordivano del nuovo, si lasciavano sorprendere dai modi diversi di vivere e si inebriavano di esperienze polisensoriali che aprivano le porte al bello.
Oggi, invece, chi si mette in viaggio ha già pianificato l’itinerario nel dettaglio, sa già dove pernotterà e i ristoranti dove mangerà, ha già googlato i luoghi d’interesse e, sulla base delle recensioni lette, ha effettuato una selezione accurata di posti degni di essere visitati. E una volta giunto a destinazione, si affretta a rispettare il programma del viaggio, correndo da una parte all’altra della città, fermandosi giusto per qualche scatto al panorama e concedendosi pause senza perdere di vista l’orario. Ma la pianificazione è nemica dell’immaginazione e la fretta della saggezza. Così accade che il corpo raggiunga la meta e l’anima rimanga là dove si è partiti.
Nel pieno dell’estate, la stagione dei viaggi per definizione, abbiamo pensato di proporvi una meta da raggiungere con il corpo e l’anima. Per la partenza preparate un leggero zaino di vestiti e un pesante bagaglio di immaginazione. Dirigetevi verso il porto e salpate sulla nave dell’ateniese Teocle.

Dopo qualche giorno di navigazione, accade che il nostromo non cuocia bene il fegato dell’animale offerto in sacrificio al dio del mare. Poseidone allora s’infuria: inizia ad agitare le onde del mare e invoca il collega Eolo affinché scateni tutti i suoi venti per provocare una violenta tempesta. Il vostro vascello di fragile legno naufraga, sfasciandosi in vari pezzi. Tu e Teocle riuscite ad aggrapparvi a un relitto. Poseidone, vedendovi pensa tra sè: «Tanto ci penseranno i siculi a mangiarseli». Nel frattempo raggiungete una baia e, stanchi, cadete in un sonno profondo sulla sabbia finissima di Schisò. Al vostro risveglio, alcuni nativi vi portano del buon cibo e vi accolgano con calorosa ospitalità. È gente simpatica e amichevole, ma di una pigrizia che li contraddistingue. Teocle si rende subito conto che quel luogo, fertile e ubertoso, è il posto giusto per fondarvi una colonia. Così, dopo essersi fatto costruire una nave, ritorna in Grecia. Tu rimani su quella terra, avvolto dal dolce clima, incantato dai modi di vivere dei nativi e sedotto dalle bellezze e ricchezza che la Natura elargisce.
I compaesani di Teocle, gli ateniesi, non credono alle sue parole e si rifiutano di aiutarlo per la colonizzazione. Ma Teocle non si arrende: da Atene si dirige verso Eubea dove raccoglie un gruppo di Calcidesi, poi prosegue fino a Nasso dove recluta alcuni Joni e infine fa scalo a Megara dove imbarca i turbolenti Dori. Completato così il suo equipaggio, spiega le vele al vento e drizza la prua verso quella terra che promette prosperità.
Nel 736 a.C. la barca di Teocle, con il suo esercito, getta le ancore nella baia dei giardini di Taormina. Ben presto questi Greci, astuti e persuasivi, iniziano a trattare con la popolazione locale, riuscendo facilmente a imporre la propria volontà. Stabiliscono il seguente patto: i nativi devono lasciare il mare ai greci e ritirarsi sulle pendici del Monte sovrastante che ricorda il dorso di un toro. Così i Siculi fanno e tu vai con loro, ormai inscindibilmente legato a essi. Da ora in poi i Greci chiamano questa gente Tauromeniti, una parola composta formata dal verbo ‘meno’, che significa ‘sto’, ‘abito’ e Tauro, ovvero ‘coloro che abitano sul toro’. Provi a guardare attentamente il monte, ma non ha le sembianze del toro, né nei confronti della groppa nè tanto meno in quelli delle corna. Ne parli con un siculo vicino a te, che ti dà una spiegazione plausibile. Molto probabilmente, durante la trattativa, c’è stato un equivoco fonetico: i Siculi hanno fatto capire ai Greci che se ne sarebbero ad abitare sul ‘Tur’, parola che in lingua fenicia vuol dire ‘monte’, quindi Teuromeniti significherebbe semplicemente ‘abitanti del monte’, ma i Greci hanno inteso ‘Taur’, ovvero toro, che diviene il simbolo della città.

Hai assistito così alla fondazione della città di Taormina. In breve tempo i taorminesi, dalle attività di pesca, agricoltura e pastorizia danno avvio a floride attività commerciali, trasformando la città in un centro d’affari sempre più conosciuto. Sotto il sindaco Andromaco (358 a.C.) Taormina accoglie molti greci che, reduci da lotte e sventure comuni, sperano di rifarsi una nuova vita, e sempre più curiosi viaggiatori. Vengono costruite le cinte murarie, si ergono i templi, in particolare quello di Apollo, sorge l’agorà, che si estende dall’attuale Porta Messina a piazza S.Caterina, e viene edificato il Ginnasio, area oggi delimitata da Corso Umberto, via Di Giovanni, via Calapitrulli e via Naumachie. Se l’agorà è il centro commerciale e politico della città, il ginnasio è quello intellettuale e ricreativo, dove i giovani forgiano la mente e il corpo e l’aristocrazia si riunisce. E quando spunta l’aquila romana, Taormina, città libera e foederata dai romani, dà avvio (212 a.C.) alla costruzione della sua meraviglia, il Teatro Antico, sintesi di arte e natura.
«Chi si collochi nel suo punto più alto, occupato un tempo dagli spettatori, non può fare a meno di confessare che forse mai il pubblico di un teatro ha avuto innanzi a sé uno spettacolo simile […]»
Wolfgang Goethe (1787)
Ora che avete viaggiato con il corpo e l’anima, perdetevi tra le pittoresche vie del borgo, ripercorrete la storia attraverso le antiche pietre e monumenti del periodo normanno, arabo e spagnolo, immergetevi tra i segreti di questa terra e vivete le follie che Taormina vi dona.
Il significato del viaggio, ci ricorda Boccaccio, è «vedere, conoscere, imparare, divertirsi».
Jessica Diolaiuti
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