Il razzo

In attesa che si concluda la seconda edizione del nostro Contest di Scrittura Creativa, vi riproponiamo il racconto vincitore al Primo Posto del Contest letterario tenutosi nel marzo 2021.
Buona lettura, e che sia di ispirazione per altri aspiranti scrittori: avete tempo fino al 31 marzo per inviarci il vostro racconto!

Luca aveva da sempre desiderato volare. Che bello sarebbe, pensava, bucare le nuvole e vedere la città dall’alto, come un grosso formicaio in cui brulica vita, incroci, attraversamenti pedonali, dove quelle migliaia di formichine si fermano e poi riprendono la loro marcia frenetica. Voleva sfuggire un attimo a tutta quella frenesia, alla sua agenda sempre uguale, sempre fitta d’impegni. Alle sei e trenta sveglia, colazione, succo d’arancia e due fette biscottate, alle otto a scuola, alle tredici il pranzo in mensa, minestra e platessa, poi piscina, alle cinque i compiti fino alle diciannove, doccia, cena, pastasciutta e pollo arrosto, un po’ di televisione o un libro e alle dieci e trenta a letto. La mattina dopo uguale, qualche variazione la domenica e le vacanze estive, anche se in estate a sua mamma piaceva andare sempre nella stessa casetta in Grecia, un po’ isolata, con la spiaggia privata e non molte attrazioni o cose da fare. E allora Luca sognava di vedere la costa Greca a bordo del suo aeroplano, di sfiorare le onde del mare, di volare in picchiata fino a sentire il fresco della brezza che sa di sale, sognava l’azzurro limpido del cielo che non conosce fine, il calore del sole, l’arancione riflesso sull’acqua all’imbrunire. Immaginava di squarciare il sole attraversandolo a tutta velocità, voleva giocare con le nubi o volare in un giorno di pioggia e sfidare i lampi, giocare a rincorrere il tuono. Sognava con il naso all’insù, a volte chiudeva gli occhi e stringeva le palpebre, sentiva tra le mani la cloche e la terra mancargli sotto i piedi, si sentiva leggero, stava davvero volando. Era sabato sera, Luca era in balcone come sempre a guardare il cielo. Il sabato aveva il permesso di stare sveglio fino a tardi perché il giorno dopo non c’era scuola. Vide come un lampo innervare di luce una nuvola, era una luce violacea e sembrava pulsare dal centro. A intervalli regolari la luce riappariva. Si stropicciò gli occhi e tornò a guardare. Poi un’altra nuvola iniziò a illuminarsi d’azzurro, un’altra di giallo, di verde, d’arancione. Il cielo suonava una sinfonia di colori elettrici. Rimase a bocca aperta.
Dopo poco notò che la bolla che emanava la luce conteneva qualcosa. Strizzò gli occhi per provare a vedere meglio. Sembrava che qualcosa lì dentro avesse vita. Improvvisamente ricordò del binocolo che gli aveva regalato suo padre, quando avevano fatto quella gita in montagna. Dopo pochi secondi era di nuovo sulla terrazza con il binocolo in mano. Lo puntò al cielo. Guardò attraverso le lenti. Staccò il binocolo dagli occhi, guardò davanti a sé sbigottito. Dentro quelle bolle, quei nuclei pulsanti di luce, c’erano dei filmati in bianco e nero che scorrevano continuamente riproponendo la stessa scena a ripetizione. Erano migliaia solo in quella porzione di cielo, migliaia di pellicole in bianco e nero come una cineteca celeste. Un’infinita ripetizione di istanti. Ma quali? Da dove venivano quelle scene? Erano scene di film? E perché proprio quelle scene? Ma soprattutto, come ci erano finite nelle nuvole? Mentre si faceva queste domande una di quelle immagini in bianco e nero attirò la sua attenzione. C’era suo padre, si era certamente lui, ma un po’ più giovane, con meno barba e i capelli ricci. Si voltava e scoppiava a piangere. Sembrava nella sala d’attesa di un ospedale. In un’altra nuvola vide la madre, sul letto di un ospedale, guardava un dottore con una bambina in braccio. C’era l’immagine di una telefonata, la sequenza di un incidente stradale, gli attimi più bui di una guerra, le immagini di terremoti, in ogni scena qualcuno piangeva. Qualcuno urlava, imprecava, alcuni si strappavano i capelli. La gente soffriva in quei filmati. Erano istanti terribili, attimi dolorosi. Ecco cosa c’era nelle nuvole, che cadeva certe sere insieme alla pioggia, la malinconia. Pensieri tristi colavano su ogni cosa, in quelle sere non c’era scampo, alla luce dei caminetti donne e uomini si lasciavano imbrigliare dal ricordo di quegli attimi che sarebbe stato meglio dimenticare. Come dimenticare, si chiese Luca? Come impedire alla pioggia di annerire i nostri pensieri? Bisognava liberare quelle immagini, far sgorgare la luce dalle nuvole. Luca da sempre desiderava volare e quella notte decise che avrebbe volato, volato davvero. Scartò fin da subito l’ipotesi della scala perché avrebbe dovuto camminare troppo per arrivare fino al cielo e secondo i suoi calcoli ci sarebbe arrivato ormai troppo vecchio per avere la forza di rompere le nuvole e liberare il loro mistero. Ci voleva un razzo. Aveva letto molti libri sui razzi, suo padre lo portava spesso in officina dal nonno e aveva qualche soldino da parte, per lo più paghette accumulate. In due mesi il razzo era pronto. Funzionante. Era un razzo di piccole dimensioni, a un solo posto. Era bianco con due strisce rosse sulla punta, le alette gialle gli conferivano l’aspetto di un grosso insetto, con un grosso occhio centrale. Il razzo era sistemato in balcone, lui si sarebbe messo al posto di guida e avrebbe liberato gli uomini dai brutti ricordi. Avrebbe finalmente volato. E Luca quella notte volò. Ruppe le nuvole, che in mille pezzi caddero dal cielo. Come cristalli d’argento scivolarono dentro la notte nera. Milioni di coriandoli bianchi e neri piovvero sulla terra, coprendo ogni cosa di una coltre grigia come cenere. Luca vide tutto dal suo oblò che bucava il cielo. Vide le città spegnersi improvvisamente sotto quella coperta, vide il mondo piombare nel buio. Finché il sole non fece evaporare completamente quella distesa di ricordi, gli uomini non riuscirono a pensare ad altro che a quei momenti dolorosi. Non vivevano. Erano preda della malinconia, dell’inerzia. Abbandonati si lasciavano vivere ripercorrendo continuamente quell’unico istante. Erano in una palude. In poco tempo le cose tornarono come prima, le nuvole ripopolarono il cielo e con esse i ricordi che custodivano tenendoli lontani dagli uomini, che in cambio avrebbero dovuto sopportare, in certe giornate di pioggia, l’eco della memoria. Luca quei giorni montava sul suo razzo per sfrecciare in quel mare di luci pulsanti e provare a catturare quante più gocce di pioggia possibile.

Tommaso Passerini

© Credit immagini: Courtesy Silvia Rossini

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