Pane buono

Non c’era niente da fare: il pane, come lo faceva zia Antonietta non lo preparava nessuno, neanche il panettiere in fondo alla via che, secondo una guida gastronomica molto rinomata, vendeva il pane più buono della regione. Certo, l’assaggiatore di turno quella volta aveva potuto dare un tale riconoscimento al pane del panettiere solo e soltanto perché non aveva avuto la fortuna, e l’onore, di assaggiare una fetta di pane appena sfornato da zia Antonietta (non che il suo pane non tenesse a lungo, anzi, c’era qualcuno che addirittura metteva da parte un paio di fette da gustare giorni dopo come crostini nella zuppa). 

Non possiamo dare per certo, però, che Antonia, che poi in realtà non era la zia di nessuno, avrebbe sicuramente offerto il suo pane per una degustazione a votazione. Zia Antonietta voleva troppo bene al panettiere in fondo alla via e non avrebbe mai voluto mettersi in competizione con lui. Il suo pane, diceva, di voti non ne aveva bisogno. Il suo pane, ripeteva sempre, ha solo bisogno di bocche da sfamare, per essere buono. 

Negli anni qualcuno aveva cercato di sbirciare nella cucina di zia Antonietta, per trovare qualche indizio sugli ingredienti di quel famigerato pane degli dei. Ma Antonia, che accoglieva volentieri tutti i bambini del villaggio per la merenda, non cercava di nascondere né la tecnica, né gli ingredienti, né la fantomatica ‘ricetta segreta’ di cui qualcuno vociferava al corso di cucina del martedì sera.

Antonia, lei, avrebbe ben accolto i volenterosi in cucina; avrebbe ben voluto una mano, ogni tanto, per stendere i chili e chili di pane che preparava in quel minuscolo fornelletto dall’aria affaticata ma fedele.

I suoi anni e i suoi reumatismi ogni tanto le ricordavano che le sue mani non erano più così vigorose da riuscire a lavorare tutta quella quantità di farina, sale, acqua e lievito. Eppure Antonia, nonostante gli acciacchi, non avrebbe per nulla al mondo smesso di infornare le sue pagnotte tonde che sfamavano gli abitanti del suo quartiere. 

A Natale poi, Antonia si sbizzarriva aggiungendo gli ingredienti che i conoscenti le offrivano come contraccambio per tutto il pane ricevuto durante l’anno. Così ogni anno nascevano nuovi tipi di pane, alcuni più tradizionali, altri più bizzarri di altri. 
Antonia ricorda bene il giorno in cui Lucetta, la figlia del calzolaio, le portò dei bastoncini di liquirizia che aveva gelosamente custodito fino a farne un bel mazzetto da offrirle per un nuovo esperimento: pane nero alla liquirizia. Zia Antonietta non poteva rifiutare davanti a quel gesto e a quegli occhi che, in fin dei conti, chiedevano solo un pezzetto di pane all’aroma di liquirizia. Un paio di infarinature dopo nacque una delle cinque specialità di zia Antonietta, la più stravagante, a essere sinceri. 

Ma la sua specialità, quella che ogni vicino di casa avrebbe potuto indovinare ad occhi chiusi, anche solo dall’odore, era quello che lei chiamava il ‘pane buono’. Il pane buono, zia Antonietta cominciava a prepararlo verso le sei di sera, non appena vedeva che il sole cominciava a calare, per prepararlo a una lunga notte di riposo. 
Per quanto non ci fosse una ricetta segreta, il suo segreto in realtà stava nel fatto che lei parlava ai suoi ingredienti, al suo forno, narrava loro le storie che i vicini le avevano raccontato venendo a cercarne un pezzetto prima della cena. Zia Antonietta raccontava del ginocchio sbucciato di Paola, del cuore spezzato di Alberto, della nuova fase punk della figlia del postino e del ritorno in città del cugino di Lucetta. Zia Antonia raccontava al suo pane la storia di tutti quei nipoti che non le appartenevano, ma che erano suoi, per scelta. E nei suoi racconti non mancavano risate, commenti, commozione, un tocco di ironia e una sola raccomandazione: essere buono, per sfamare tutte quelle pance e cuori che avrebbero avuto bisogno, senza saperlo, di lui. Così il pane buono si generava all’infinito, dall’insieme di quattro ingredienti, dal duro lavoro di una donna attenta al prossimo e dai racconti di una comunità che lievitava come faceva lui ogni mattina prima dell’alba.

Mishel Mantilla

© Credit immagini: Courtesy Mishel Mantilla

 

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