Da fuori


Giacomo stende le gambe sul sedile di fronte a lui, facendo cadere tutta la stanchezza della giornata sul rivestimento in pelle rovinato dagli anni. Il suo libro tra le mani e la testa altrove. Lo sguardo perso tra gli edifici che – ingannando la sua mente – sembrano muoversi. Sovrapposti ai riflessi degli altri passeggeri e ai frammenti che si creano sullo sfondo nero. Illuminato dalle luci che si proiettano dall’esterno sul vetro del finestrino.
Il vuoto intorno a lui è attraversato da voci distorte e confuse. Parole che sembrano provenire da lontano. Cuori che battono all’impazzata. Vite che si intrecciano per la frazione di un secondo. Il tempo di uno sguardo, di un accenno di serenità sulle labbra, di un movimento lento del viso verso terra.
Le immagini e i suoni delle ore trascorse si mischiano e si confondono.
Una cuffietta cade sul libro lasciato aperto. Si incastra nello spazio tra il suo sedile e quello affianco. La testa, con lo stesso movimento, la segue dal lato opposto. Sbatte contro il vetro gelido. Si ritrae, per poi appoggiarsi nell’incavo della spalla destra.
Gli occhi si chiudono piano, giusto il tempo di provare a tenerli aperti.

Giacomo le accarezza piano il viso. La leggerezza con cui la sua testa precipita sulle sue ginocchia lo fa sentire fragile. Si sente riflesso della sua vulnerabilità. Le scosta i capelli, che ritrovano il loro posto scompigliati dietro alle orecchie. Neri e fini. Stringe a sé le mani sconvolte che vibrano ancora. Una per una. Amplificate dal battito che scoppia nel suo torace.
È al sicuro. Adesso.
Le lacrime rimangono incastrate nel blu, insieme alle parole che non trovano via d’uscita. Gli occhi si guardano. Cercano di afferrarsi.
Il silenzio di un pensiero sfiorato a metà riempie il vagone del regionale veloce Bologna-Verona. Corre. Ignaro di ciò che succede dentro di lui. Non si arresta. Crea un gioco di luci strane per chi lo guarda da fuori. Linee di luce che tagliano la notte.

Federica Mangano

© Credit immagini: Courtesy Mishel Mantilla

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