Ecco i vincitori del contest di Scrittura Creativa de Il Polo Positivo

Il Polo Positivo ha il piacere di comunicarvi i vincitori del contest di Scrittura Creativa!

Per il mese di marzo il Polo Positivo ha lanciato l’iniziativa di Scrittura Creativa, un tentativo di promuovere la scrittura e l’immaginazione tra grandi e piccini. Abbiamo ricevuto tantissimi racconti e siamo stati felicemente sorpresi della partecipazione numerosa. Abbiamo oggi il piacere di pubblicare i tre racconti vincitori del contest. Congratulazioni ai vincitori: Tommaso, Cristina e Anatoly

Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato al contest e speriamo che il potere della scrittura non si fermi qui.  

Il razzo 

Primo posto

Luca aveva da sempre desiderato volare. Che bello sarebbe, pensava, bucare le nuvole e vedere la città dall’alto, come un grosso formicaio in cui brulica vita, incroci, attraversamenti pedonali, dove quelle migliaia di formichine si fermano e poi riprendono la loro marcia frenetica. Voleva sfuggire un attimo a tutta quella frenesia, alla sua agenda sempre uguale, sempre fitta d’impegni. Alle sei e trenta sveglia, colazione, succo d’arancia e due fette biscottate, alle otto a scuola, alle tredici il pranzo in mensa, minestra e platessa, poi piscina, alle cinque i compiti fino alle diciannove, doccia, cena, pastasciutta e pollo arrosto, un po’ di televisione o un libro e alle dieci e trenta a letto. La mattina dopo uguale, qualche variazione la domenica e le vacanze estive, anche se in estate a sua mamma piaceva andare sempre nella stessa casetta in Grecia, un po’ isolata, con la spiaggia privata e non molte attrazioni o cose da fare. E allora Luca sognava di vedere la costa Greca a bordo del suo aeroplano, di sfiorare le onde del mare, di volare in picchiata fino a sentire il fresco della brezza che sa di sale, sognava l’azzurro limpido del cielo che non conosce fine, il calore del sole, l’arancione riflesso sull’acqua all’imbrunire. Immaginava di squarciare il sole attraversandolo a tutta velocità, voleva giocare con le nubi o volare in un giorno di pioggia e sfidare i lampi, giocare a rincorrere il tuono. Sognava con il naso all’insù, a volte chiudeva gli occhi e stringeva le palpebre, sentiva tra le mani la cloche e la terra mancargli sotto i piedi, si sentiva leggero, stava davvero volando. Era sabato sera, Luca era in balcone come sempre a guardare il cielo. Il sabato aveva il permesso di stare sveglio fino a tardi perché il giorno dopo non c’era scuola. Vide come un lampo innervare di luce una nuvola, era una luce violacea e sembrava pulsare dal centro. A intervalli regolari la luce riappariva. Si stropicciò gli occhi e tornò a guardare. Poi un’altra nuvola iniziò a illuminarsi d’azzurro, un’altra di giallo, di verde, d’arancione. Il cielo suonava una sinfonia di colori elettrici. Rimase a bocca aperta.
Dopo poco notò che la bolla che emanava la luce conteneva qualcosa. Strizzò gli occhi per provare a vedere meglio. Sembrava che qualcosa lì dentro avesse vita. Improvvisamente ricordò del binocolo che gli aveva regalato suo padre, quando avevano fatto quella gita in montagna. Dopo pochi secondi era di nuovo sulla terrazza con il binocolo in mano. Lo puntò al cielo. Guardò attraverso le lenti. Staccò il binocolo dagli occhi, guardò davanti a sé sbigottito. Dentro quelle bolle, quei nuclei pulsanti di luce, c’erano dei filmati in bianco e nero che scorrevano continuamente riproponendo la stessa scena a ripetizione. Erano migliaia solo in quella porzione di cielo, migliaia di pellicole in bianco e nero come una cineteca celeste. Un’infinita ripetizione di istanti. Ma quali? Da dove venivano quelle scene? Erano scene di film? E perché proprio quelle scene? Ma soprattutto, come ci erano finite nelle nuvole? Mentre si faceva queste domande una di quelle immagini in bianco e nero attirò la sua attenzione. C’era suo padre, si era certamente lui, ma un po’ più giovane, con meno barba e i capelli ricci. Si voltava e scoppiava a piangere. Sembrava nella sala d’attesa di un ospedale. In un’altra nuvola vide la madre, sul letto di un ospedale, guardava un dottore con una bambina in braccio. C’era l’immagine di una telefonata, la sequenza di un incidente stradale, gli attimi più bui di una guerra, le immagini di terremoti, in ogni scena qualcuno piangeva. Qualcuno urlava, imprecava, alcuni si strappavano i capelli. La gente soffriva in quei filmati. Erano istanti terribili, attimi dolorosi. Ecco cosa c’era nelle nuvole, che cadeva certe sere insieme alla pioggia, la malinconia. Pensieri tristi colavano su ogni cosa, in quelle sere non c’era scampo, alla luce dei caminetti donne e uomini si lasciavano imbrigliare dal ricordo di quegli attimi che sarebbe stato meglio dimenticare. Come dimenticare, si chiese Luca? Come impedire alla pioggia di annerire i nostri pensieri? Bisognava liberare quelle immagini, far sgorgare la luce dalle nuvole. Luca da sempre desiderava volare e quella notte decise che avrebbe volato, volato davvero. Scartò fin da subito l’ipotesi della scala perché avrebbe dovuto camminare troppo per arrivare fino al cielo e secondo i suoi calcoli ci sarebbe arrivato ormai troppo vecchio per avere la forza di rompere le nuvole e liberare il loro mistero. Ci voleva un razzo. Aveva letto molti libri sui razzi, suo padre lo portava spesso in officina dal nonno e aveva qualche soldino da parte, per lo più paghette accumulate. In due mesi il razzo era pronto. Funzionante. Era un razzo di piccole dimensioni, a un solo posto. Era bianco con due strisce rosse sulla punta, le alette gialle gli conferivano l’aspetto di un grosso insetto, con un grosso occhio centrale. Il razzo era sistemato in balcone, lui si sarebbe messo al posto di guida e avrebbe liberato gli uomini dai brutti ricordi. Avrebbe finalmente volato. E Luca quella notte volò. Ruppe le nuvole, che in mille pezzi caddero dal cielo. Come cristalli d’argento scivolarono dentro la notte nera. Milioni di coriandoli bianchi e neri piovvero sulla terra, coprendo ogni cosa di una coltre grigia come cenere. Luca vide tutto dal suo oblò che bucava il cielo. Vide le città spegnersi improvvisamente sotto quella coperta, vide il mondo piombare nel buio. Finché il sole non fece evaporare completamente quella distesa di ricordi, gli uomini non riuscirono a pensare ad altro che a quei momenti dolorosi. Non vivevano. Erano preda della malinconia, dell’inerzia. Abbandonati si lasciavano vivere ripercorrendo continuamente quell’unico istante. Erano in una palude. In poco tempo le cose tornarono come prima, le nuvole ripopolarono il cielo e con esse i ricordi che custodivano tenendoli lontani dagli uomini, che in cambio avrebbero dovuto sopportare, in certe giornate di pioggia, l’eco della memoria. Luca quei giorni montava sul suo razzo per sfrecciare in quel mare di luci pulsanti e provare a catturare quante più gocce di pioggia possibile.

Tommaso Passerini

Tommaso Passerini

Come lego dal cielo 

Secondo Posto

Quando Giovanni uscì di casa, venne inondato da una prepotente calura estiva. Lo sbalzo termico con l’interno dell’abitazione fu talmente forte che per un attimo gli sembrò di non respirare più. Sto morendo, pensò. Giovanni aveva sette anni e da quando era nato, il caldo della sua terra lo tormentava, ma come tutti i bambini possedeva ancora il dono salvifico della smemoratezza. Fu per questo motivo che quando il caldo unito al vapore acqueo lo investì, rimase meravigliato da una tale novità.

Terminato il brusco effetto iniziale, Giovanni si rese conto che il suo naso funzionava a dovere e, felice per quella consapevolezza ritrovata, si incamminò lungo il vialetto che da casa sua lo portava alla strada principale. Lo zaino che aveva sulle spalle gli faceva sudare la schiena, provocandogli una certa irritazione. Allora iniziò a muoverlo da una spalla all’altra, senza purtroppo riuscire ad alleviare il fastidio provato. A quel punto, si arrese e abbassò lo sguardo verso il marciapiede, camminando mestamente per raggiungere il piedibus che lo avrebbe condotto a scuola.

A Giovanni non piaceva dover camminare per arrivare all’edificio scolastico. Sarebbe stato più comodo utilizzare una macchina o uno di quei bus silenziosi che vedeva passare regolarmente nel centro della città. Quando chiese ai suoi genitori perché i bambini andassero a scuola a piedi, loro risposero che i bambini dovevano imparare ad avere cura per l’ambiente. E aggiunsero che a causa dell’egoismo delle persone vissute prima di loro, il mondo era malato, arido e troppo caldo. Per questa ragione molte famiglie non possedevano un’automobile e preferivano spostarsi con i mezzi pubblici, e per la stessa ragione i bambini andavano a scuola a piedi.

Immerso in quei pensieri, Giovanni raggiunse il piedibus quasi senza rendersene conto. Quando fu vicino ai suoi compagni di viaggio, ritrovò un po’ di serenità, anche se per pochi istanti. Giulia, una bambina dagli occhi neri e dalla pelle olivastra, si avvicinò seria a Giovanni e gli disse: «Hai sentito? Tra poco le nuvole cadranno». Giovanni strabuzzò gli occhi. Come potevano cadere le nuvole? Guardò il cielo e vide che era sereno.

«Chi te lo ha detto?» chiese spaventato il bambino.

«L’ho sentito dire da mia nonna stamattina. Si può capire dall’aria, senti come è bagnata?».

«Quindi, moriremo tutti? Verremo schiacciati?».

Giulia non rispose. Il ragazzo che guidava i bambini verso la scuola suonò un fischietto, era il segnale che indicava la partenza. Giovanni si posizionò vicino alla bambina che gli aveva dato la triste notizia e cominciò a camminare. Non riusciva a capire come tutto il vicinato potesse apparire così calmo. Vedeva persone adulte che passeggiavano tranquillamente lungo la strada, i proprietari dei pochi negozi di quartiere che alzavano le saracinesche, gli anziani che si riunivano nei bar. A un tratto, Giovanni capì che forse quelle persone erano ignare del destino che attendeva loro. Iniziò a preoccuparsi ancora di più, cosa poteva fare per avvertire tutta quella gente? Quando esternò i propri pensieri a Giulia, i due bambini utilizzarono il tempo del tragitto verso la scuola per inventare possibili metodi di comunicazione dell’imminente disastro.

«Potremmo andare nelle sede della Gazzetta e dirlo ai giornalisti» provò la bambina.

«No, non ci crederebbero. Secondo me, è meglio creare un mega-megafono e urlarlo a tutta la città!» disse Giovanni.

«Assolutamente no, così lo saprebbero solo gli abitanti di questa città, a tutte le altre non pensi? Dobbiamo fare in modo che tutto il mondo lo sappia!» affermò Giulia.

I due bambini stavano ancora elaborando teorie, quando il ragazzo a capo del piedibus suonò il fischietto. Era il segnale che indicava l’arrivo a scuola. Tutti i bambini ruppero la fila e iniziarono a correre verso l’edificio grigio, passando attraverso il cortile abbrustolito dal sole. Tutti tranne Giovanni e Giulia che sentivano il peso del mondo sulle proprie spalle. Loro, a differenza degli altri, si incamminarono lentamente verso l’aula.

Uno volta sistemati nei rispettivi banchi, accesero i tablet. Che peccato che le maestre non permettessero l’utilizzo di internet durante la lezione, sarebbe stato facilissimo trovare spiegazioni sull’apocalisse imminente.

Quando la maestra iniziò a parlare, Giovanni sentì in lontananza un forte rumore, come quando faceva cadere a terra la sua riserva di Lego. Dovevano essere davvero tanti Lego che cadevano dal cielo.

Giulia, posizionata due banchi più avanti, lo guardò terrorizzata.

La lezione proseguì normalmente, come se nulla stesse succedendo, intervallata ogni tanto dal rumore di Lego che cadevano a terra.

Fu solo alla fine della mattinata, che Giovanni trovò il coraggio di fare la fatidica domanda: «Maestra, come fanno a cadere le nuvole?». Tutti i bambini lo guardarono esterrefatti. Poteva leggere nei loro volti l’incredulità e lo spavento. La maestra sorrise e diede loro il permesso di alzarsi. Li condusse in corridoio e poi ancora verso l’uscita.

«Aspettate bambini!» urlò. Sparì per qualche minuto dalla loro vista e ne riemerse con dei tubi che consegnò loro. Giovanni rimase interdetto, poi la sua smemoratezza di bambino ricordò all’improvviso come funzionasse quell’oggetto. Era un ombrello! I suoi genitori gliene avevano regalato uno qualche mese prima, dicendogli che avrebbe dovuto essere felice di usarlo perché la pioggia faceva crescere le piante e le piante davano ricchezza alla terra.

Quando i bambini uscirono, le nuvole stavano davvero cadendo, ma erano accolte da una grande festa, non da paura. Rincuorati dalla felicità del momento, anche Giulia e Giovanni si lasciarono andare e iniziarono a rincorrersi tra le pozzanghere.

«Hai visto, Giulia?» gridò il bambino per farsi udire. «Il mondo non finirà oggi!».

All’indomani mattina, quando il ragazzo del piedibus suonò per la seconda volta il fischietto, ad aspettare i bambini davanti alla scuola vi erano tante piccole margherite.

Cristina Marchiani

"Nella vita, lavoro in banca e combatto contro l'inesorabile arrivo dei trent'anni. Mentro lo faccio, per svagarmi, vado in bici e invento, leggo e guardo storie"
“Nella vita, lavoro in banca e combatto contro l’inesorabile arrivo dei trent’anni. Mentro lo faccio, per svagarmi, vado in bici e invento, leggo e guardo storie”

L’anello dei mille poteri

Terzo Posto

C’era una volta una bambina molto birichina, era bassa con gli occhi azzurri, portava i capelli raccolti in due lunghe trecce. 

Aveva ereditato il nome da sua nonna che si chiamava Giulia. In fondo era un bel nome, anche se non rispecchiava il caratteraccio della bambina….

Si divertiva tantissimo a fare i dispetti!

Così tanto che un giorno Giulia ne fece uno così grave che i suoi genitori si separarono. Aveva bruciato l’auto della mamma, mentre accendeva per scherzo dei fuochi d’artificio in auto (NON FATELO MAI!!!) facendo ricadere la colpa sul papà; i due litigarono tanto che alla fine si lasciarono.

Lei provò a rimetterli insieme, anche se non è facile come con la colla! Infatti la situazione era troppo difficile e non ci riuscì.

Disperata, chiese aiuto a tutti i parenti, che non riuscirono ad aiutarla, cercò anche su Google ‘Come rimettere una coppia insieme’, ma anche lì non c’era scritto nulla di utile.

Un giorno passarono per caso, sotto casa, otto assassini, avevano delle pessime facce e un coltello sporco di sangue, con armature da guerra, impossibile pensare che fossero dei preti!

Lei si nascose sotto la finestra di casa e ascoltò quello che loro dicevano.

Senti parlare di un certo anello dai mille poteri magici e le venne in mente un’idea pazzesca: ‘ «Ma se prendessi io questo anello in modo che i miei genitori possano fare la pace?!».

Lei sottovalutò inizialmente il potere magico pensando fosse un semplice anellino senza troppo valore, piccolo, con piccole pietre attaccate, senza importanza ed allora decise di informarsi meglio su di esso.

Chiese informazioni all’unica persona che avrebbe potuto veramente aiutarla, esisteva solo nel suo libro preferito, ma l’aveva sempre aiutata nei momenti di difficoltà. Chiese al mago Brivido, piccolo gnomo gobbo e nasone ma tanto simpatico, con la barba lunga e folta che indossava un vestitino bianco perché lui veniva da Nord ed era il re dei ghiacci. Dopo un incantesimo era diventato un mago. 

Il mago raccontò alla bambina tutta la storia dell’anello: le origini, il suo potere, come poterlo usare a fin di bene e che, se capitava nelle mani sbagliate, poteva fare una strage.

L’anello apparteneva a un gigante che riusciva a infilarlo in un mignolo poiché era troppo piccolo per lui. Esso poteva dare la pace e realizzare tutti i desideri di chi lo trovava.

Giulia capì di averlo sottovalutato e decise di trovarlo a tutti i costi….

Il mago Brivido le disse dove andare a cercarlo e che doveva superare delle prove per prenderlo.

Lei non perse tempo e partì subito, attraversò paludi piene di alligatori, piranha, squali d’acciaio, attraversò colline e giunse infine a una montagna dove doveva superare la prima prova.

Doveva ‘baitare‘ (termine del vocabolario dei videogame che vuol dire attivare) cioè far scattare delle trappole per non farsi infilzare; dopo un po’ di contorsioni, riuscì a passare per il bosco pieno di ostacoli.

Ebbe molta difficoltà nella seconda prova: doveva passare dall’altra parte di un burrone al di sotto del quale c’erano degli alligatori fluorescenti, che accecavano i passanti, ed erano molto affamati, aspettavano proprio che qualcuno cascasse giù di sotto.

Giulia poteva usare dei gadget che gli aveva dato il mago: erano delle molle da legare ai piedi così avrebbe potuto fare un grande salto fino all’altra parte della montagna.

Lei prese una bella rincorsa e saltò sul ciglio del burrone, fece un salto altissimo ma quando stava per scivolare e perdere quota, sganciò le molle, si diede una bella spinta e afferrò con entrambe le mani l’altra sponda, sollevandosi con le braccia e con gran fatica arrivò dall’altra parte.

Dopo 80 km di boschi, scalate e arrampicate, arrivò all’ultima prova. Doveva sconfiggere i difensori dell’anello. Erano in 20 ed erano tutti armati fino ai denti pronti a difendere l’anello a tutti i costi da ogni possibile intruso.

E cosa avrebbe potuto fare la nostra Giulia??? Ci voleva una strategia….

Lei prese un sasso, salì sull’albero, lo lanciò giù e un guardiano, subito attento ad ogni minimo movimento, andò a controllare davanti al sasso. Lei col suo peso fece spaccare il ramo e cadde in testa alla guardia, stordendolo! Effetto bomba!

Lei tolse i vestiti al guardiano svenuto e se li mise addosso, raggiungendo gli altri. Aveva delle placche metalliche che lanciavano delle scosse elettriche e appena si avvicinava qualcuno scattavano, così uno ad uno, riuscì a immobilizzare tutti i guardiani dell’anello.

A questo punto doveva solo liberare l’anello dall’incantesimo che lo rendeva incandescente perché era circondato da un fuoco. Il mago le disse che doveva pronunciare una formula magica «Il fuoco raffredda!»

Lei gridò queste parole ed all’improvviso iniziò a nevicare, il fuoco si spense e l’anello tornò a brillare in tutta la sua lucentezza e bellezza.

Pensava di aver finito l’avventura e di dirigersi subito verso casa per portare l’anello dai genitori, ma all’improvviso arrivò un drago che le rubò l’oggetto.

Sembrava aver perso ogni speranza, quando la neve fece la sua magia: il drago col peso dei fiocchi non riusciva a volare anzi, ogni fiocco lo pietrificava a terra, e alla fine fu completamente immobilizzato. Giulia finalmente prese l’anello e corse via come il vento.

La conclusione quale sarà? Giulia portò l’anello al padre il quale lo diede alla mamma e lei felicissima lo mise al dito, ci fu una luce accecante e all’improvviso sembrava che i litigi fossero solo un brutto ricordo e che si potesse ricominciare a vivere bene insieme.

Però Giulia da allora andò sempre a piedi a scuola.

Anatoly – Istituto Achille Ricci

Ciao sono Anatoly, ho 13 anni, sono nato in Russia in Estremo Oriente Russo e vivo in Italia da 6 anni. Frequento la seconda media a Milano gioco a calcio in una squadra dilettantistica del quartiere. Mi piace giocare a calcio, alla play station e, in tempo di covid, faccio delle grandi partite di Risiko coi miei genitori e ultimamente vinco spesso! Ho 2 gatte dormiglione a cui faccio tanti dispetti. Mi piacciono i fumetti e i film di Star Wars. Mi piace la cucina italiana e a volte cucino coi miei genitori. Spero di tornare presto a fare il portiere nella mia squadra e di tornare a vincere le nostre partite di campionato. Non so ancora bene cosa farò da grande, o quali viaggi farò, per ora viaggio con la fantasia!

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