Finita la Seconda guerra mondiale, l’Italia è un Paese da ricostruire. Non solo per quanto riguarda le strade, i palazzi o il proprio futuro, da ricostruire sono anche i sogni e le speranze degli Italiani. Fortunatamente, in loro aiuto giunsero due ciclisti, di nome Gino Bartali e Fausto Coppi, che con i loro duelli, sulle salite dei Pirenei e degli Appennini, riaccesero la passione di un’intera nazione che troppo spesso, negli ultimi anni, si era dimenticata di emozionarsi.
Questa rivalità però non si limitava solo a quando i due salivano in sella, ma diventò ben presto una metafora della divisione sociale dell’italia del tempo.
Da un lato c’era Ginettaccio, contadino, schietto, amante del buon vino e della compagnia. Nato nel 1914 in un paesino della Toscana, iniziò a correre tra i professionisti poco più che ventenne e, dalla seconda metà degli Anni Trenta allo scoppio della guerra vinse la maggior parte delle gare a cui prese parte.

Iniziato il conflitto la sua carriera dovette subire inevitabilmente una frenata, ma fu proprio in questo periodo che Bartali prese parte alla corsa più importante della sua carriera, quella che lo vedeva fare da staffetta per i colli toscani trasportando nel manubrio della sua bici i documenti che avrebbero salvato la vita a centinaia di ebrei.
Dall’altra parte invece c’era Coppi, che più tardi per molti sarebbe diventato Il Campionissimo, eroe tormentato, con un approccio quasi scientifico allo sport, fedele alla dieta e ai propri ideali.

La prima vittoria in un grande Giro arrivò un po’ a sorpresa, nel 1940, proprio contro Bartali, all’epoca suo compagno di squadra e, da quel momento in poi, la sfida non si fermò mai, sempre, però, all’insegna del più totale rispetto fra i campioni, come dimostra la celebre fotografia scattata durante il Tour del 1952, poi vinto da Coppi, dove i due si passano una borraccia.

Fausto se ne sarebbe poi andato nel 1960, all’età di quarant’anni, stroncato da un malore, dopo aver vinto cinque Giri d’Italia, due Tour de France e tre Mondiali. Gino morirà invece nel 2000 a causa di un attacco di cuore, dopo aver conquistato 124 vittorie in carriera, raggiungendo così l’amico in paradiso, dove, parafrasando Stefano Benni, sono entrambi arrivati, perché in salita vanno fortissimo.
Francesco Castiglioni