Ho intervistato il Prof. Ivanoe Pellerin, neo-eletto presidente di LILT Varese, e questo è il racconto di come è andata.
Il professore è un uomo di cultura, non so perché ma lo immagino a una grande scrivania con alle spalle una marea di libri. Mentre trascrivo quello che dice sul taccuino, mi dondolo sulla sedia nello stesso modo che faceva sclerare le mie prof. alle scuole medie: sulle due gambe di legno posteriori e un piede per aria per tenere l’equilibrio.
«LILT è l’acronimo di Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori. Si può dire che sia l’ente che si occupa della Lotta al tumore con un ruolo operativo sul territorio. Ci occupiamo di educare, formare, fare prevenzione e assistenza. L’assistenza spesso si traduce in accompagnare i pazienti (soprattutto anziani) da casa all’ospedale per fare le visite di controllo o le terapie, fare servizio di presentazione e ‘info point’ nei day hospital ai pazienti e anche attività di compagnia negli Hospice. Ora la situazione Covid non ci permette di entrare in ospedale, ma facciamo quello che possiamo. Siamo sempre alla ricerca di nuovi volontari».

Mentre mi dondolo, mi accorgo che LILT la associo solo alla Stella di Natale che i volontari vendono fuori dalle chiese il 7-8 dicembre. Mi vergogno un po’ della mia ignoranza e proseguo con le domande: «Perché è importante anche per i giovani conoscere LILT e il lavoro che fa?».
Dalle prime parole del professore capisco di aver fatto una domanda stupida: «Perché solo nel 2019 sono state fatte circa 373.000 nuove diagnosi di malattia oncologica.» Smetto di dondolare e appoggio entrambi i piedi a terra. La malattia oncologica mi sembra un mondo così lontano, ma solo perché sono stato fino ad oggi fortunato. 373.000 tra uomini, donne, bambini, anziani non lo sono stati: forse erano seduti come lo sono io in questo momento quando un medico dall’altra parte di una scrivania diceva che c’erano delle cellule matte al loro interno. Cellule mutate, troppo vive, troppo veloci, diverse dalle altre.
«Per i giovani secondo me è importante conoscere due argomenti: la prevenzione del tumore alla mammella e la prevenzione del tumore al collo dell’utero».
«Il tumore alla mammella è il più diagnosticato nelle donne con 53.500 nuove diagnosi nel 2019 (1% dei tumori mammari sono diagnosticati nell’uomo, NdR) però il 90% guarisce. Prima lo si trova meglio è. Per questo è importante la prevenzione. Nelle giovani donne inizia dopo i 30 anni con controlli ogni 2/3 anni, ma soprattutto conoscendo il proprio corpo e imparando le tecniche di autopalpazione. Col passare del tempo si sono sviluppate nuove strategie diagnostiche come il test genetico, che consiste nella ricerca di alcune mutazioni genetiche che si associano a un aumentato rischio di contrarre il tumore della mammella e dell’ovaio. Individuare la mutazione può permettere di prendere misure preventive anche drastiche: si veda il caso di Angelina Jolie. Ottobre in rosa è il mese dedicato alla prevenzione del cancro alla mammella».

Può spaventare pensare che potremmo ammalarci, che da un giorno all’altro dietro alla scrivania del medico o sopra il lettino ci potremmo essere noi. Il Prof Pellerin però è molto chiaro: «Non si tratta di fare terrorismo, si tratta di sensibilizzare. Conoscere è parte della prevenzione (Sul sito sono presenti molti link riguardanti la prevenzione primaria, secondaria e terziaria, NdR). Per questo il secondo argomento di interesse per i giovani deve essere la prevenzione del tumore del collo dell’utero con la vaccinazione contro HPV sia per le femmine che per i maschi e rapporti sessuali protetti con profilattico».
Il Papilloma è un virus che viene contratto per via sessuale in giovane età e comporta un rischio molto aumentato di sviluppare la neoplasia al collo dell’utero negli anni seguenti (tra i 35 e i 50 anni). I maschi non devono sottovalutare il virus: potrebbero essere portatori sani (rischiano di infettare i partner con cui hanno un rapporto non protetto) e per questo il vaccino è rivolto anche a loro.
Ringrazio il professore e resto a guardare il mio taccuino. C’è una linea sottile che divide la malattia dal malato, il nome.Un paziente non è la malattia, ma una persona con un nome, una famiglia e una storia in cui è comparsa una singola cellula impazzita che ha deciso di cambiargli la vita. LILT questo lo sa. Noi possiamo e dobbiamo fare qualcosa. Possiamo sostenere, anche attivamente, e dobbiamo informarci. Questo per noi e per chi ci è accanto.
Tommaso Merati