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«Siamo con voi, non dimenticatevi di noi. Andrà tutto bene». Da ormai qualche settimana, finestre e balconi di tutta Italia sono tappezzati di striscioni colorati, bandiere e messaggi di speranza. Quello apparso fuori dalla Casa di Reclusione Femminile della Giudecca è però uno striscione speciale. A scrivere sono le ottantasette detenute del carcere veneziano, che hanno risposto ai disordini scoppiati negli altri istituti di pena con un gesto di solidarietà. Una ‘protesta pacifica’, affidata a una lettera rivolta ai vertici dello Stato e a una donazione di 110 euro al Reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale dell’Angelo di Mestre. È così che, facendo del bene, le donne del carcere della Giudecca hanno portato sotto i riflettori dell’opinione pubblica le condizioni di vita nelle carceri italiane, attirandosi anche l’ammirazione del Presidente Mattarella.
Ma cosa ha in più l’istituto di pena veneziano rispetto agli altri? A parlarcene è suor Franca che, insieme a suor Adriana, da anni lavora alla Casa di Reclusione della Giudecca. «Il nostro istituto ha sempre avuto a cuore il carcere della Giudecca: ci sono sempre state suore che vi lavoravano e fino al 1993, vi abitavano anche. Abbiamo sempre dato molta attenzione alla presenza del volontariato in carcere perché abbiamo scoperto che era necessario fare da ponte tra le donne all’interno e la società fuori, e i giovani potevano essere quella voce di chi non ha voce, quel mezzo per portare all’esterno la testimonianza di coloro che non possono». Ora i giovani, cuore pulsante di questo progetto di volontariato, non possono più entrare fisicamente nell’istituto di reclusione, ma fanno comunque sentire la loro vicinanza alle detenute. Infatti, «c’è uno scambio epistolare molto attivo. I giovani si sono fatti presenti con lettere, messaggi, preghiere e le donne hanno scritto ai giovani. Questo sentirsi pensate, custodite, fa un gran bene».
Il volontariato e il fatto che il carcere della Giudecca non conosca il problema del sovraffollamento sono certamente fattori che hanno contribuito alla nascita della protesta solidale. «Quando sono stati bloccati i colloqui per preservare familiari e donne, è stata una settimana complessa. Dalle altre carceri arrivavano notizie di rivolte. Anche le donne hanno detto di voler fare sentire la loro voce, trovare un modo per essere solidali, reagire e non farsi sopraffare dalla paura. Siamo intervenuti. È stata molto brava Antonella Reale, direttrice del carcere, che ha organizzato un’assemblea plenaria affinché le donne potessero esternare le proprie paure e avanzare le proprie richieste. È nata così la scelta di far sentire la nostra voce, ma in solidarietà con tutta la popolazione italiana. Un gesto molto significativo, nato dal cuore. La cifra raccolta è simbolica, ma ci sono state donne che avevano solo un euro e l’hanno donato».
In momenti come questi, è facile farsi dominare da «ansia, paura, rabbia. Bisogna contenere e far sì che questa ansia venga convogliata in maniera positiva». Le donne del carcere della Giudecca hanno scelto di non farsi sopraffare, hanno scelto la strada della solidarietà. E questa strada ripaga sempre.
Federica Gattillo