Preferisci ascoltare la notizia? Ne abbiamo parlato nel podcast che trovi in fondo all’articolo!
Chiamo Aeham su whatsapp. Chiacchieriamo per mezz’ora, poi si accorge di essere in ritardo e corre per prendere l’ultimo treno. Sono circa le sette di sera e tra poco dovrà salire su un palco.
Ti saluto, in bocca al lupo per il concerto, ci sentiamo più tardi.
In mezzo alla frenesia degli impegni, a pochi minuti dall’esibizione, mi ha regalato un po’ di questo tempo prezioso, come a dire ‘prima la persona, poi tutto il resto’.
Aeham Ahmad ha trentadue anni. Nasce a Yarmouk – uno dei campi profughi in Siria – da una famiglia di origini palestinesi. Trascorre un’infanzia felice nonostante il peso di un’identità negata condiviso con i palestinesi che abitano nel campo. Nel 2011 scoppia la guerra in Siria. Le bombe arrivano anche a Yarmouk, nascondendo tra le macerie del campo i vent’anni di Aeham e dei suoi coetanei.
Un oggetto lo tiene saldo alla vita: il pianoforte. Aeham è cresciuto con la passione per la musica, nel negozio di strumenti musicali del padre. La distruzione portata dalla guerra alimenta in lui l’idea di portare la musica nelle vie e nelle piazze desolate di Yarmouk. È il 28 gennaio 2014.
«Quel giorno capii che era questa la lingua della mia protesta. Anche se nessuno mi avrebbe ascoltato.»
Quando il cielo non fa rumore, e tutto intorno è calmo, Aeham spinge il suo pianoforte per la strada, tra i muri sfregiati delle case, e si mette a suonare. I bambini sono i primi a raggiungerlo, e pian piano si aggiungono sempre più persone.
La gente circonda il pianoforte e canta con lui, il pianista di Yarmouk.
Un anno più tardi, il mondo gli crolla addosso. Mentre suona per strada con il suo coro di bambini, un cecchino distante centra in pieno una bambina, Zeinab.
«La morte era quotidianità. Io sarei stato pronto. Perché quel cecchino non aveva mirato meglio? Perché non aveva ucciso me invece di Zeinab? Avevo lottato. E avevo perso. Alla musica non ci credevo più.»
Qualche tempo dopo, alcuni uomini dell’ISIS si avvicinano a Aeham obbligandolo a non suonare più per la strada. Lui chiede spiegazioni, loro gli rispondono bruciando il pianoforte È il momento più critico della sua vita.
Yarmouk è diventata un inferno e la sua unica speranza viene spazzata via; Aeham – spinto dalla madre – prende i risparmi di famiglia e fugge lontano, alla ricerca di un posto sicuro dove aiutare la sua famiglia. Raggiunge illegalmente la Turchia e si imbarca per la rotta balcanica attraverso il Mediterraneo.
Sopravvive alla traversata, e la Germania lo accoglie. Inizia una nuova vita: ritrova il pianoforte e la sua storia diventa un romanzo. Infonde curiosità nelle persone, realizzando così il suo sogno di artista ed esibendosi nelle più importanti sale concerti. Il libro viene pubblicato e tradotto in vari paesi: in italiano si intitola Aeham Ahmad. Il pianista di Yarmouk.
I primi mesi, nonostante le esibizioni, Aeham si sente solo, fino a quando la sua famiglia ottiene il permesso di entrare in Germania.
«Tahani, mia moglie, la vedo da lontano. Scatto in avanti, parte un allarme, me ne frego. Corro verso di lei, la abbraccio, la bacio, prendo in braccio i miei due giovanotti. Finalmente sono di nuovo intero.»
In pace e in guerra, in Siria o in Germania, è la musica che gli ha salvato la vita. «Music makes you global» mi dice tra una frase e l’altra. Suonando per lui e per gli altri, Aeham ha sfidato le bombe e i terroristi in nome della sua musica. Una forma di resistenza attraverso la fede nell’arte.
«A volte ho l’impressione che le giornate buie stiano diminuendo. Che la mia vita in Germania s’illumini sempre di più. E poi ci sono giorni così luminosi che mi sento quasi libero da ogni senso di colpa. Allora mi appoggio allo schienale della sedia e canto con il massimo della passione e del trasporto. C’è speranza. C’è sempre speranza.»
Pietro Battaglini