«Aiutiamo chi sbaglia a tornare umano» così ha affermato Agnese Moro sulla notizia della cattura di Cesare Battisti, il latitante arrestato in Bolivia dopo trentasette anni di latitanza. Sì, proprio lei, la figlia di Aldo Moro, ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse a Roma.
Agnese non parla per sentito dire. Lei che ha incontrato in prima persona Franco Bonisoli, uno degli ex Brigatisti che partecipò al rapimento di suo padre. Ne Il libro dell’incontro, infatti, si racconta il percorso di giustizia riparativa che ha coinvolto gli ex appartenenti alla lotta armata, le vittime, i parenti e i mediatori. Non si intende «far prevalere la linea vendicativa», così Agnese Moro scrive su La Stampa:
«Così moltiplicheremo la forza di quella catena del male che parte da ogni gesto di violenza e che si allarga e si rinforza continuamente. Senza cambiare né le persone, né le situazioni, e senza placare in alcun modo l’amarezza e la rabbia delle vittime con le quali troppo spesso ci si fa scudo. Per quanto mi riguarda mi auguro che sceglieremo sempre lo sforzo, personale e collettivo, di non moltiplicare, ma piuttosto di spezzare la catena del male. Con una risposta seriamente umana, che aiuti davvero chi ha sbagliato a tornare tra noi. Sperando di non perderne nessuno».
Il percorso è stato guidato da tre mediatori, Claudia Mazzucato, Guido Bretagna e Adolfo Ceretti che con grande coraggio hanno invitato le vittime e gli ex Brigatisti a partecipare.
Il percorso di giustizia riparativa è stato di supporto al sistema penale, che spesso preferisce punire il colpevole invece che prediligere l’incontro tra le persone coinvolte in un reato. Il cammino intrapreso da Agnese Moro, insieme ad altre vittime, invece, voleva avvicinarsi ai colpevoli. In una lettera agli ex Brgatisti ha scritto:
«Ho riletto (il referto dell’autopsia) e ripensato tanto a quei quindici minuti che gli sono rimasti da vivere dopo i vostri spari, o che gli son serviti per morire. Leggendo mi son chiesta che cosa fosse successo in quei minuti; se avete aspettato che morisse per trasportarlo, o se è morto “cullato” dal movimento della macchina».
La domanda sospesa degli incontri è perché?; perché proprio mio padre?; perché proprio mia moglie?. E spesso le risposte non soddisfano le questioni poste dalle vittime e soprattutto non riportano indietro chi è stato perso. «Ero convinto di combattere la guerra che avrebbe annullato le altre guerre» si legge ne Il libro dell’incontro.
«La memoria vive, quando è all’interno di un dialogo» e come ha raccontato Agnese Moro: non è attraverso il carcere duro e repressivo che il colpevole si redime. Al contrario, grazie al riconoscimento di qualcuno come essere umano.
Camilla C.
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